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La verità su Caianiello

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La verità su Caianiello

Di una cosa la cassazione è certa: Leonida Emilio Paggiaro ebbe l’aut aut. «O paghi o non fai niente». L’imprenditore fu costretto a versare 250mila euro con la minaccia «in termini espliciti» che in caso contrario l’Esselunga nell’area ex Majno non sarebbe mai sorta. Si legge nelle motivazioni della decisione dello scorso 27 novembre, quando la suprema corte annullò con rinvio le condanne a tre anni per concussione pronunciate dalla corte d’appello nei confronti dell’ex presidente dell’Amsc Nino Caianiello e dell’architetto Piermichele Miano. Perché dunque riportare i due imputati - difesi dagli avvocati Cesare Cicorella, Angelo Giarda e Stefano Besani - davanti ai magistrati di secondo grado? Finalmente è arrivata la spiegazione degli ermellini. Secondo i giudici d’appello Paggiaro sarebbe stato obbligato alla dazione esercitando un abuso costrittivo.

«Ma questa conclusione richiede un ulteriore approfondimento e un nuovo giudizio, una volta che si esclude che vi sia stata una corruzione o», scrive il consigliere estensore Domenico Carcano. Non è stato tenuto in debito conto che «un abuso costrittivo può comportare uno stato di soggezione non soltanto qualora collegato a un abuso di potere, bensì anche se si manifesti come abuso della qualità di pubblico agente». È questo dunque il punto da sviscerare ai fini della configurazione del delitto di concussione, soppesando pure la condotta di Miano «quale intermediario di Caianiello in tutta la vicenda relativa alla progettazione e realizzazione del supermercato». Parole queste che risuonano piacevolmente nelle orecchie di Paggiaro e del suo difensore, Pietro Romano: le denunce esposte dal grande accusatore risultano ormai pienamente confermate, «lo dice la cassazione», fa notare l’avvocato Romano. «La sentenza impugnata ha condiviso la ricostruzione del giudice di primo grado, secondo cui è incontrovertibile che Paggiaro sia stato costretto a dare denaro a Caianiello e ad accettare le condizioni imposte in favore di Miano per la prosecuzione dei lavori relativi al supermercato». Non solo. La suprema corte riconosce «una consolidata e determinante influenza di Caianiello nella zona in cui operava Paggiaro e ciò rende verosimile la condotta di Miano quale intermediario».

L’indagine partì come è noto dalle dichiarazioni di Paggiaro alla procura di Verbania, nell’ambito di un’altra faccenda tutta piemontese. Da lì però si staccò la costola gallaratese, approdata in un fascicolo aperto nel 2005. Il costruttore si recò così in largo Giardino a Busto Arsizio per raccontare d’aver versato a Caianiello e Miano una tangente di 250mila euro divisa in due tranche (un anticipo di 150mila euro il 18 novembre del 2002 e il saldo il 28 aprile del 2003), per sveltire le pratiche per la costruzione della struttura di media distribuzione di via Pegoraro. Progetto che infiammò l’opinione pubblica e scatenò il dibattito in consiglio comunale, perché avversato da più parti.

Prove di quella dazione gli inquirenti ne trovarono nel diario sequestrato alla ex moglie di Paggiaro che da precisa contabile si segnò tutto, il lecito e l’illecito. In primo grado il collegio presieduto da Adet Toni Novik condannò gli imputati a cinque anni per estorsione. Ora si attende la data dell’appello bis.


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