La riunione di qualche giorno fa a Villa Recalcati tra il consigliere delegato all’Istruzione, Paolo Bertocchi, e il dirigente del liceo “Manzoni”, Giovanni Ballarini, è passata quasi alla chetichella, senza dichiarazioni ufficiali o comunicati stampa, ma i risultati stanno facendo arrabbiare i docenti e infuriare le famiglie.
Nel corso dell’incontro è stato infatti deciso di limitare a dieci il numero di classi prime per il prossimo anno scolastico, una più di oggi, ma anche una meno di quanto potrebbe essere. Senza contare che, con ogni probabilità, si tratterà di classi sovraffollate e cioè calibrate oltre quella “quota trenta” che per legge dovrebbe essere superata solo in casi eccezionali. Ma qui l’eccezionalità sembra diventare norma.
Così la pensa Giuliana Bottelli, componente Rsu dell’istituto varesino: «Partiamo da un dato di fatto: la nostra scuola è sottoposta a una notevole domanda e se ciò accade significa che lavoriamo bene e le famiglie si fidano di noi. Perché, allora, deluderle rigettando le domande di iscrizione, cioè finendo col ledere il diritto allo studio?».
Risposta ufficiale al momento non c’è. Tuttavia, pare che i vertici dell’istituto abbiano intrapreso un’azione di “ri-orientamento” con le famiglie dei ragazzi esclusi che, come già accaduto negli anni passati, è tesa a convincere della bontà di scuole statali analoghe al “Manzoni” collocate sia a Tradate sia a Gavirate.
Se, come da regolamento varato dal Consiglio di Istituto, il ragazzo in soprannumero risiede da quelle parti, è meglio che là si iscriva.
In termini tecnici si parla di “delocalizzazione“, politica fortemente voluta da alcuni anni in qua da Provincia e Ufficio scolastico territoriale. E a ragione: si evita così il pendolarismo scolastico (con risparmi in termini di traffico, inquinamento, denari in più che rimangono in tasca alle famiglie) e si fornisce un aiuto concreto a scuole forse meno rinomate, ma ugualmente valide e “in carenza” di iscritti.
Tutto chiaro e logico? Alle famiglie che si sono viste respinte le richieste (e sono tante: si parla di una sessantina su 319, tante quante sono le richieste in uscita dalla terza media) pare di no e neanche agli insegnanti o almeno non a tutti. Si tratta di una “arrabbiatura“, per dirla così, che non rappresenta un fatto nuovo: si verificò in maniera pesante già tre o quattro anni or sono, ma in quella circostanza la dirigenza di allora giustificò il rifiuto alle iscrizioni con la mancanza di spazio. E su questo punto la legge sulla sicurezza è ferrea.
«Cosa che non può essere questa volta -precisa la professoressa Bottelli- a meno di mettere in dubbio la matematica. A giugno usciranno tredici classi quinte e se a settembre entreranno solo dieci classi prime significa che tre aule rimarranno vuote. Perché, dunque, non aggiungere almeno una prima in più? Teniamo anche presente che docenti e soprattutto personale ata ne trarrebbero giovamento in termini di posti di lavoro».
Ma in caso contrario, si tratta di risparmiare sulle casse statali in termini di stipendi? Il dubbio è legittimo. In ogni caso, la decisione è stata ufficialmente presa (l’anno scolastico 2016-17 vedrà al via 5 classi ad indirizzo linguistico, il più richiesto e penalizzato, 3 a indirizzo scienze umane, uno ciascuno per economico-sociale e musicale), ma forse c’è spazio per tornarci sopra. Mercoledì mattina è fissata un’assemblea sindacale per discuterne alla presenza del corpo docente.