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Zaha, passione e impeto

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Zaha, passione e impeto

La notizia della morte di Zaha Hadid, architetto di fama mondiale molto attiva anche in Italia nel recente passato - dal Museo nazionale dell’Arte del XXI secolo a Roma ai complessi milanesi di Citylife, nell’area dell’ex Fiera Campionaria - si è diffusa improvvisa nella serata di giovedì 31 marzo. Nata a Baghdad nel 1950, trasferitasi a Londra dall’inizio degli anni settanta, britannica d’adozione, Hadid era molto più che un’Archistar. Basti pensare che, nel 2010, fu inclusa da Time nell’elenco delle cento personalità più influenti al mondo. A ricordarla per i nostri lettori ha pensato Stefania Colonna-Preti, varesina, insegnante di storia dell’arte e scrittrice che nel 2011 conobbe Hadid e su di lei curò una monografia edita da Hachette per la collana “I protagonisti del design”.

* * *

Ho avuto un iniziale attacco di panico e provato un senso di grande soggezione quando, nel 2011, incaricata di scrivere una piccola monografia su di lei, mi sono sentita passare al telefono Zaha Hadid.

Donna di poche parole, è andata subito al nocciolo della questione: aveva letto una delle schede che stavo scrivendo e aveva avuto l’impressione (in effetti corretta!) che io non avessi capito fino in fondo la genesi di quel progetto. Per questo, aveva deciso fosse meglio raccontarmela.

Diretta ma gentile, asciutta ma autentica, mi parlava con una voce molto profonda, attenta a farmi capire, prima di tutto.

Mi sembrava di vederla, mentre la ascoltavo spiegarmi il forte legame tra mondo naturale, osservato e analizzato fino allo stremo e tecniche digitali, capaci di riprodurre le forme della geometria nello spazio, sperimentate mediante la manipolazione delle strutture e dei materiali. Evocando un mondo che prende forma da forze sconosciute, Zaha svelava, anche nei testi che mi aveva fornito per la ricerca sui progetti, la sovrapposizione delle sue tante anime: quella araba, legata al suo grande amore per la matematica e la geometria e quella londinese, capace di spingersi oltre le frontiere.

In modo estremamente libero e vero, mi raccontava di Tide, libreria componibile di Magis presentata al Salone del Mobile di Milano nel 2011, con orgoglio e compiacimento, grata che io volessi capirne, davvero, la struttura. Tanto che non posso dire di aver mai avuto, in quei mesi di contatti, la sensazione che fosse, come spesso ho letto, snob e cerebrale, scontrosa e superba.

Certo, la sua era una personalità di forte impatto, pura e assoluta, come i colori coi quali andava vestendosi (nero, rosso e bianco), ma la leggerezza e la natura giocosa delle sue opere, l’attenta ricerca e la grande passione che trasparivano dal suo lavoro, sono state capaci di trascinarmi con forza nel suo mondo, fatto di linee fluide e forme frammentate. Per questo mi ritengo fortunata ad aver avuto l’occasione di poter scrivere di lei. Anche se in questo momento, ancora, mi pare di immaginare i suoi occhi neri e profondi parlarmi al di là della cornetta…


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