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Channel: La Prealpina - Quotidiano storico di Varese, Altomilanese e Vco.
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«Corretto l’intervento al cervello»

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«Corretto l’intervento al cervello»

«Per quanto osservato va esclusa la responsabilità di Giustino Tomei, non essendo ravvisabili profili di negligenza o imperizia nella sua condotta e dovendo ritenersi corretto l’intervento chirurgico da lui effettuato». Così la Seconda Sezione Civile della Corte d’Appello di Milano ha chiuso di recente in modo definitivo, almeno dal punto di vista giudiziario, la vicenda di una bambina di dieci anni operata per l’asportazione di un tumore alla testa che tale non era e da allora invalida al cento per cento. L’intervento, effettuato appunto dall’allora primario della Neurochirurgia dell’Ospedale di Circolo Giustino Tomei, difeso in giudizio dall’avvocato Sergio Puerari, risale a quasi undici anni fa. E già questo dato da solo dà l’idea della complessità della vicenda giudiziaria che da esso è scaturita.

Tomei era stato infatti assolto in primo grado a Varese insieme ad altri tre medici e la Procura aveva deciso di non fare appello. A Milano si era andati però ugualmente, su iniziativa della parte civile - la madre in rappresentanza della figlia, che oggi ha 21 anni, con l’avvocato Antonio Monaco - e lì c’era stato il colpo di scena: la Corte d’Appello aveva confermato l’assoluzione degli altri tre medici e aveva ritenuto il solo Tomei responsabile del reato di lesioni colpose gravi, ai soli fini civili (impossibile riformare l’assoluzione penale precedente), condannandolo al pagamento immediato di un acconto sul risarcimento del danno pari a 300.000 euro (acconto versato da due assicurazioni). Di qui il ricorso in Cassazione del neurochirurgo, l’annullamento della sentenza d’appello e un nuovo giudizio di secondo grado, in questo caso davanti ai giudici civili. Che oggi hanno appunto stabilito che nel giugno del 2005 Tomei agì in modo professionalmente impeccabile (il tumore non c’era e c’era invece una rarissima “placca gigante demielinizzante”, ma l’intervento era comunque necessario e urgente, essendo troppo rischioso attendere l’esito di un esame istologico approfondito, mentre la terapia cortisonica antinfiammatoria proposta come alternativa non sarebbe stata «risolutiva»). Conseguenza: non solo la famiglia della paziente non otterrà i quattro milioni di euro che aveva chiesto come risarcimento “definitivo”, ma dovrà restituire i 300.000 ottenuti come provvisionale.


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