A una settimana dall’omicidio di via Cardinal Ferrari, Arturo Saraceno riceverà in carcere la visita del medico legale Maria Luisa Pennuto.
E la ragione è tutt’altro che banale: sia gli inquirenti che gli avvocati Concetto Galati e Cesare Cicorella vogliono valutare la natura delle ferite che il trentatreenne ha sulle braccia.
Già, perché c’è la testimonianza di una vicina di casa che impone accertamenti in ogni senso. La donna, quando si precipitò sul pianerottolo richiamata dalle urla, vide il coltello che uccise Debora Fuso, ma lo avrebbe visto brandito dalla venticinquenne stessa, mentre il fidanzato cercava di disarmarla.
Possibile? Nemmeno l’indagato è in grado di ricordare come sia degenerata la discussione con la fidanzata. Ma durante l’interrogatorio in caserma non escluse l’ipotesi che una prima coltellata gliel’avesse inferta proprio la ragazza.
Una circostanza che il pubblico ministero Maria Cardellicchio non intende lasciare inesplorata e che forse potrebbe essere chiarita proprio dall’osservazione del perito. Al momento vale la ricostruzione avallata anche dal gip Patrizia Nobile: quando i carabinieri di Castano Primo erano arrivati al civico 3, Debora era stesa, nel sangue che le colava dalla bocca, contro la porta a vetri dell’androne. Mentre i militari cercavano di aprire il portone, bloccato dal corpo della ragazza, Arturo scendeva l’ultima rampa di scale dirigendosi verso l’ingresso, aperto con forza scavalcando e spostando il cadavere, con un coltello in mano. «Ricordo solo che avevo il coltello con cui stavo tagliando il salame. La discussione si è animata, eravamo entrambi vicini al piano cottura. Non mi ricordo se sono stato io il primo a colpire o se avevo già ricevuto una coltellata al braccio», ha raccontato l’uomo.
Come è ormai noto, dal primo aprile la coppia era letteralmente scoppiata. Arturo nutriva sospetti sulla fidanzata che avrebbe sposato l’11 agosto. Temeva fosse lei la responsabile di misteriose sparizioni di gioielli e soldi da casa dei parenti, illazione che ferì profondamente l’orgoglio della giovane con cui aveva convissuto per anni. Il temperamento fiero di Debora la avrebbe spinta a minacciarlo, al punto da indurre Arturo a tornarsene a Potenza per un periodo. Agli atti ci sarebbe pure una richiesta di intervento ai carabinieri che l’indagato avrebbe esplicitato per paura della famiglia di lei. Sono queste le carte che la difesa calerà per bilanciare la pesante imputazione di omicidio volontario.