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Evasione con telecamera “staccata”

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Evasione con telecamera “staccata”

Le telecamere del sistema di videosorveglianza? Manomettere quella puntata sull’area in cui avvenne l’evasione non avrebbe presentato alcuna difficoltà: bastava svitare e riavvitare lo spinotto attaccato al monitor in portineria, questione di secondi. E i bancali sotto il muro scavalcato per la fuga? Il comandante della polizia penitenziaria di Varese aveva dato disposizioni precise e nella cosiddetta “intercinta” non ci dovevano essere bancali, mentre quella notte di febbraio c’erano. E i rumori dentro i Miogni? Impossibile non sentire il lavoro delle lime maneggiate dagli evasi e lo scorrere dell’acqua lasciata aperta, tanto è vero che la prassi, in caso di rubinetti in funzione, era quella di svegliare i detenuti perché riportassero il silenzio in carcere.

È quello che ha spiegato al Tribunale di Varese presieduto da Anna Azzena, dopo la monumentale deposizione del comandante della polizia penitenziaria Alessandro Croci, un assistente capo della casa circondariale di Varese che all’epoca della grande fuga del febbraio 2013 si occupava in particolare delle attività di manutenzione e dell’impianto di videosorveglianza. Il processo, naturalmente, è quello a cinque agenti accusati di aver favorito in vario modo l’evasione di tre detenuti romeni dai Miogni (poi riarrestati nel giro di pochi giorni). E le dichiarazioni dell’assistente capo, chiamato a deporre dal pm Annalisa Palomba, hanno naturalmente rafforzato quelle che sono le ipotesi accusatorie.

Prendiamo la questione delle telecamere. A quanto pare quella notte l’addetto ai monitor dormiva e comunque lo schermo mostrava quattro dei sei occhi elettronici ma non quello puntato a est, ovvero sul lato della struttura da cui avvenne l’evasione. L’ipotesi del pm è che qualcuno abbia manomesso nel modo più semplice quella telecamera, svitando e riavvitando appunto il relativo spinotto dietro al monitor, e in aula l’assistente capo ha confermato che un gesto del genere sarebbe stato sufficiente: «In precedenza - ha spiegato - mi avevano riferito che una telecamera non funzionava, ma in realtà non c’era un guasto, solo uno spinotto staccato».

Questione lime. Il poliziotto della penitenziaria ha detto che nessun detenuto poteva accedere al magazzino degli attrezzi del carcere, che all’epoca l’unico seghetto in dotazione risultò sempre “presente” e che lime più piccole non erano mai state “catalogate”.

E i rumori? Sulla base della testimonianza, impossibile pensare che il lavoro degli evasi sulle sbarre e l’acqua lasciata aperta dopo la fuga, tra mezzanotte e mezza e l’una, non avesse attirato l’attenzione di nessuno.

«L’ambiente è ampio - ha detto il teste - e si sente da lontano anche il rumore di un bicchiere che cade e si rompe. Anche l’acqua lasciata aperta dà fastidio, tanto è vero che durante i giri notturni, in quel caso si svegliano i detenuti e a loro si ordina di chiuderla».

Scaduti i termini di custodia, ora tutti gli imputati hanno solo l’obbligo di dimora.


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