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Channel: La Prealpina - Quotidiano storico di Varese, Altomilanese e Vco.
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'Cerutti aveva una pistola'

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Emiliano Cerutti

«Eravamo a casa di Roberto Colombo, io e il mio moroso, e c’era anche Emiliano Cerutti. Emiliano era alterato, penso avesse bevuto, e a un certo punto ha detto che lui avrebbe saputo difendersi se gli avessero fatto uno sgarro, perché aveva una pistola. E poi è andato a prenderla, ce l’ha mostrata e l’abbiamo presa anche in mano: era come quella dei carabinieri, ma in miniatura».
Testimonianza importante, davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Varese presieduta dal giudice Anna Azzena (a latere Cristina Marzagalli), del processo per l’omicidio di Colombo, il disabile di 49 anni che abitava nella frazione Cariola di Casalzuigno, sparì di casa a fine settembre 2013 e fu ritrovato cadavere nel bosco poco più di un mese dopo, ucciso a colpi di pistola.

Alla sbarra, difeso dagli avvocati Paolo Bossi e Marco Lacchin, si trova appunto Cerutti, per anni amico della vittima e suo vicino di casa, che da sempre si professa innocente e contro il quale il pubblico ministero Giulia Troina non ha prove schiaccianti ma una lunga serie di indizi. E in particolare ha proprio il racconto citato in apertura e un altro, del fidanzato della testimone, che permettono alla pubblica accusa di “mettere” nelle mani dell’imputato una pistola, possibile arma del delitto visto che quella che effettivamente sparò non è mai stata ritrovata.
La testimone Valentina D’Amico ha raccontato quell’incontro a casa di Colombo premettendo che Cerutti, quando aveva bevuto troppo, diceva di avere una piantagione di cannabis (poi effettivamente scoperta dai carabinieri nel bosco) e che quel giorno spiegò di essere pronto a rispondere ad eventuali «sgarri» («Penso legati proprio alla questione della produzione di marijuana») con una pistola. «Diceva mi so difendere, ma non credevo che avesse davvero una pistola, e così a un certo punto Emiliano si è alzato, è uscito e pochi minuti dopo è tornato tirando fuori da una tasca una pistola. L’ha mostrata e poi io e il mio fidanzato l’abbiamo presa in mano: all’inizio pensavo potesse essere un giocattolo, ma poi, visto il peso, ho pensato che fosse vera».

La pistola, nel racconto della teste, era come quella dei carabinieri ma più piccola, e di un colore più chiaro («grigio grezzo, quasi metallizzato»).

«Aveva un tappo rosso?», ha chiesto il pm.

«No», è stata la risposta.

«Lei è un’esperta d’armi?». ha chiesto poi uno dei difensori.

«No - è stata la risposta -, non avevo mai tenuto in mano una pistola prima di allora ma mi è sembrata vera».
La testimone ha riferito poi che il fidanzato Alessandro Bernuzzi rivide Cerutti con una pistola il lunedì prima della sparizione di Colombo: Emiliano si sarebbe presentato a casa sua con l’arma in mano, chiedendo tre volte ad Alessandro se avesse preso la sua erba. E davanti ai tre «no» del suo interlocutore e all’invito a calmarsi, alla fine se ne sarebbe andato dicendo «Allora so dove andare».
Sulla base di tutto questo i due fidanzati avrebbero fatto quindi «due più due» tempo dopo, quando il cadavere di Colombo fu ritrovato nel bosco con una pallottola in testa e un’altra nel torace, convincendosi della colpevolezza di Emiliano. Ma i difensori dell’imputato hanno cercato di spargere dubbi, ipotizzando che a certe conclusioni diversi amici di Colombo sarebbero arrivati, facendo poi certe dichiarazioni, perché sottoposti a pressioni dagli inquirenti (due testi hanno detto però che non si sentivano affatto sotto pressione).
Sentito in  aula anche un maresciallo della Scientifica dell’Arma. In casa di Colombo c’erano due piccole tracce di sangue rilevata dal luminol e nessun segno di colluttazione: «Non c’è certezza che l’omicidio sia stato commesso lì - ha detto la specialista - ma non si può escluderlo».


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