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Channel: La Prealpina - Quotidiano storico di Varese, Altomilanese e Vco.
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140 anni di storia: Alesini dice stop

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140 di storia: Alesini dice stop

Sulla porta d’ingresso fino a ieri c’era scritto “chiuso per inventario”, ma da giovedì 1° ottobre si leggerà “liquidazione totale”. E non una di quelle che ci si inventa per far fuori i fondi di magazzino, perché la famiglia Alesini ha deciso veramente di scrivere la parola fine in calce alla sua storia, quella iniziata nello stesso stabile di viale Aguggiari nel lontano 1875, per iniziativa di due volonterosi fratelli falegnami, poi proseguita nel tempo da Enrico, Umberto con Ettore e Giuseppe. Fino a Italo, al quale gli 85 anni d’età non sembrano ancora una ragione sufficiente per chiudere la bottega, e al figlio Folco, che di anni ne ha 49. Ma a volte i sogni bisogna chiuderli nel cassetto, anche se si sono nutriti di una tradizione lunga più di un secolo, e di cui restano le tracce evidenti nei quattro piani dello stabile adibito  a progettazione e showroom, con le foto in bianco e nero degli 80 operai che agli inizi lavoravano in falegnameria, il grande camino originale del vecchio corpo di fabbrica, il lungo pozzo e il soffitto che è stata la prima struttura in cemento armato costruita a Varese, capace di reggere i colpi delle guerre ma non dei tempi che cambiano. Dunque, in una città in cui di storico resta poco o niente, col Verga che si è “ristretto”, alimentari e vecchie botteghe che sono solo un ricordo, e in cui si respira l’aria del corso Matteotti che fu solo se si beve un caffè al Ghezzi o si comprano gnocchi, frittura dolce e prodotti biologici dal Cantù, la prima domanda che vien da fare è: perché?
«Forse siamo sempre stati troppo avanti, cercando di proporre oggetti e materiali nuovi, che sono stati capiti solo dopo - dice Folco - perché noi non abbiamo mai offerto un singolo pezzo ma una progettualità che si costruisce dalla scelta del pavimento alla tinta delle pareti, con un servizio fatto a casa del cliente, per costruire il suo ambiente insieme a lui e alle sue esigenze». E gli si stringe il cuore nel pensare che quel che resta ora di queste scelte sono la seduta Frau, due “chaise longue” e la poltrona numerata, in edizione limitata, firmate Le Corbusier, i preziosi tappeti talmente antichi da sembrare usurati, il tagliacarte presente nelle Collezioni permanenti di Parigi e Rotterdam, tanto per fare qualche esempio. Tutto scontato dal 40 all’80%, perché questa non è merce che si è avuta in conto vendita e non può restare in uno spazio che si dovrà svuotare. Prodotti non più appetibili, in una città in cui gli Alesini hanno arredato la più parte delle case che contano, di cui Folco non vuole fare nomi per correttezza. «Il problema - spiega - è che il cliente prima entrava in automatico, adesso devi andare a cercarlo e forse tanti produttori hanno pensato di bastare a se stessi, non hanno saputo rendere sufficientemente appetibile il loro prodotto». Già, perché nell’era del low cost la tentazione è forte per chiunque, e la qualità passa  in secondo piano rispetto ai “pocch danée in sacogia”, per dirla alla bosina. Ma per Folco il sogno da quel cassetto ci deve uscire, e poco importa se calerà il sipario sulla “premiata ditta” di arredamenti, perché 1500 metri quadrati di stabile sono troppi per essere lasciati vuoti, bui e silenziosi.
Così culla l’idea di vederli rinascere come “fab-lab”, una sorta di grande officina di mestieri dove ognuno possa affittare il proprio spazio per vendere la sua arte e creatività, all’ombra di un’insegna di famiglia che ancora non pensa di dover smontare.


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