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"A Pietro". È la una e mezza passata. Inge Dalen Venanzi apre un sorriso pieno d’affetto, solleva il calice di vino e invita a salutare per l’ultima volta il marito. Un saluto ora gioioso per conservare nel cuore la positività seminata in vita dal pilota collaudatore Pietro Venanzi, dopo il rito pieno di commozione e dolore per la sua scomparsa. «A Pietro», dice lei una seconda volta. «A Pietro», sollevano il bicchiere i molti rimasti per il buffet. Sì, la conclusione conviviale del rito funebre voluta dalla moglie fedele alle proprie tradizioni norvegesi. Ma pure un momento apprezzato dai presenti per la leggerezza con la quale il commiato diventa possibilità di conservare il bello di aver incrociato una persona speciale. Infatti, le ultime parole del funerale sono un incitamento: «Hip hip hurrà».
Davanti a circa 3mila tra familiari, amici, colleghi, conoscenti, estimatori, tanta gente che fa del miglioramento dell’aviazione un impegno professionale a ogni livello, è un concentrato di emozioni forti l’addio a Venanzi. Il Collaudatore con la c maiuscola dell’Agusta Westland che il 30 ottobre, nei pressi di Santhià (Vercelli), insieme con il copilota Herb Moran è morto nell’esplosione seguita alla caduta del Convertiplano che stava collaudando; ultimo gesto dei due è stato evitare di schiantarsi sull’abitato. Per questo c’è il gonfalone riconoscente del Comune piemontese.
Anche in brughiera la mattinata è riscaldata da un tiepido sole. Il tempio scelto è insolito: è Volandia, il Parco e museo del volo ospitato negli storici capannoni Caproni di Case Nuove, nel quale l’aviatore ha profuso grandi energie. Non è un caso che, nell’apposito padiglione, sia suo il volto parlante che spiega la scommessa del velivolo capace di salire come un elicottero e di volare come un aereo. Una speranza di progresso finita «nella nebbia», come afferma nel suo discorso funebre Giuseppe Afruni (capocollaudatore di Augusta), con quell’incidente.
Lì, nell’immenso spiazzo lungo gli edifici industriali, lo sguardo di tutti è rivolto alla cappelletta voluta da Giovanni Caproni all’alba del Novecento. Sulla facciata campeggia il motto d’annunziano «senza cozzar dirocco». All’interno il feretro è sospeso tra due scritte: «sacrificium» sul pavimento e «victoria» sul soffito. Per quanto giunta da un’epoca lontana, la simbologia verbale pare accudire degnamente la salma di Venanzi.
A tenere la bara fisso negli occhi, poco fuori dalla cappelletta, in prima fila, sono la moglie Inge con i figli Lorenzo, Filippo, Matteo e Vittoria e i parenti. Vicini ci sono Daniele Romiti (ad di AgustaWestland), Giovanni De Gennaro (presidente di Finmeccanica), Marco Reguzzoni (presidente di Volandia) e altri rappresentanti dell’aerospaziale. C’è Giuseppe Orsi: quarant’anni di Agusta, quasi tutti ai vertici. C’è il prefetto Giorgio Zanzi.Ci sono le autorità militari e spiccano le divise dell’Aeronautica. Ci sono i colleghi in lacrime.
Presiedono il breve rito religioso don Adriano Sandri (il sacerdote aviatore) e don Franco Gallivanone (parroco di Somma Lombardo).
È Inge però, in abito rosso, a dare la cifra della perdita. «Mi sono vestita così, Pietro, perché mi rifiuto di piegarmi a questo immenso dolore», dice piangendo. «Ti prometto che curerò la nostra splendida famiglia». Mezzora dopo, nel capannone in cui è allestito il bufett, la promessa comincia a prendere forma. Con un brindisi: «A Pietro. Hip hip hurrà».
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