In pubblico era l’irreprensibile custode giudiziario del tribunale, affabile, disponibile, fidato. A casa, però, subiva una sorta di metamorfosi, come dottor Jekyll e mister Hyde. Cinquantaquattro anni di violenze inaudite quelle vissute dalla moglie - costituita parte civile con il patrocinio dell’avvocato Luca Abbiati - e dalla figlia, tutte ripercorse davanti al giudice Sara Cipolla, tra lacrime, tremori, crolli emotivi, allontanamenti dell’aula.
I maltrattamenti iniziavano di primo mattino. Appena l’uomo apriva gli occhi, la moglie doveva scattare ai suoi piedi, infilargli le calze e le scarpe, annodargli le stringhe. E intanto botte, schiaffoni sulla testa con sottofondo di insulti. Perché? «Non c’era una ragione», ha spiegato la figlia, costretta per anni ad assistere a scene che la terrorizzavano. «A quattordici anni ho scoperto che con due dita di grappa ero in grado di sopportare tutto. E così ho iniziato a bere». Il padre «aveva esplosioni di rabbia immotivate, quindi vivevo nell’angoscia perenne. Il tragitto tra l’autobus e casa lo facevo pregando che non succedesse niente». Ma le brutalità erano costanti. «Siediti lì», diceva l’uomo alla moglie, e poi iniziava a picchiarla, senza sosta.
E poi le armi. In casa aveva pistole e fucili. E quando voleva esercitare la sua supremazia assoluta sulle donne di casa, non esitava a sfoderarli. «Un giorno ero a letto, stavo male. Lui venne in camera e mi mise la pistola in bocca», è uno degli episodi rievocati dalla figlia, sentita come teste dell’accusa. In un’altra occasione, mentre urlava a tavola e spaccava piatti e sedie, prese il fucile e sparò un colpo in aria. Così, per intimidirle. Poi, un giorno, una scoperta agghiacciante. «Telefonò una donna, venni a sapere che era mia sorella. Mio padre aveva avuto una figlia da una relazione extraconiugale, mamma lo sapeva ma non mi ha mai detto nulla».
s.c.