L’attenzione di chiunque passasse lungo il Sempione non poteva che essere carpita dall’immenso camion-vela che campeggiava davanti al negozio Mirko Oro. Raffigurava papa Francescogenuflesso ai piedi di Mirko Rosa, pronto a spogliarsi dei gioielli della chiesa, chiamata dal pontefice appena eletto alla scoperta del pauperismo tanto invocato dal santo di Assisi. Il cartellone pubblicitario recitava «fai come lui». Scoppiò un putiferio. A maggio del 2013, al termine degli accertamenti svolti dalla polizia locale di Castellanza, il pm Pasquale Addesso firmò un decreto penale di condanna pari a 6mila euro di multa con la pesante accusa di aver pubblicamente offeso una confessione religiosa e la sua massima autorità, il vescovo di Roma. Perché, oltre a insultare la fede cattolica, l’imprenditore con la sua campagna pubblicitaria iconoclasta avrebbe vilipeso pure i suoi fedeli. «Sono un perseguitato dalla giustizia», sbotta Mirko Rosa. E si sfoga non tanto per il fatto che gli viene contestato, ma perché per la stessa vicenda, due mesi fa, è stato condannato dal tribunale di Milano a 1.100 euro. «Confronterò il capo di imputazione con il procedimento di Milano, per valutare se si tratti di un ne bis in idem», annuncia l’avvocato Francesca Cramis, difensore del quarantunenne che è attualmente agli arresti domiciliari per l’operazione Gold Finger, con cui a giugno venne portato dietro le sbarre e per la quale ora è davanti al gup Patrizia Nobile insieme ad altri trenta coimputati. A Milano, oltre che per il cartellone che effigiava il pontefice, Rosa ha risposto pure di quello che ritraeva le forze dell’ordine. «Fai come loro», era l’invito, «per pagare le bollette, con questi stipendi da fame, vai dal numero 1», ossia da Mirko Oro. Nel frattempo ogni appuntamento con la giustizia è rinviato a gennaio, quando Rosa e gli altri torneranno davanti al gup.
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