Il giovane che ventinove anni fa avrebbe creato un alibi a Stefano Binda, per poi ritrattarlo, il sacerdote che è stato a lungo amico dell’uomo ora accusato di aver ucciso Lidia Macchi, dice che «Stefano è stato trattato come un mostro». E non crede davvero che il giovane che conosceva bene e frequentava in quanto entrambi abitavano a Brebbia, possa essersi trasformato in un omicida. A raccontare la sua verità è don Giuseppe Sotgiu che un giornalista di Torino, Stefano Tamagnone, ha rintracciato al telefono per “CronacaQui”. Nell’intervista pubblicata mercoledì sul giornale torinese diretto da Beppe Fossati, Sotgiu racconta: «Non credo assolutamente a tutta questa storia, neanche un po’. Conosco Stefano da quando avevo dieci anni, hanno detto di tutto e di più su questo ragazzo, e adesso stanno inventando un mostro. La sua vita, forse, non è delle più lineari ma questo non lo fa diventare un omicida». Sempre nell’intervista, Sotgiu dice di essere stato indagato, all’epoca, cosa che però non risulta agli atti. Eppure don Giuseppe ricorda: «Ero io indagato, avevo ricevuto un avviso di garanzia, anche se allora, a 20 anni, non sapevo neppure cosa fosse. Avevo nominato un avvocato, mi avevano prelevato il Dna, mi chiedevano cosa avevo fatto quella sera (quella dell’omicidio, ndr) e io ho cercato di ricostruirlo, anche se non era facile, dopo un mese e mezzo. Dissi che probabilmente mi trovavo con Stefano e un altro amico che frequentavo allora. Come posso aver dato un alibi a Stefano se l’indagato ero io? Basterebbe non sovrapporre due interrogatori fatti 29 anni fa con quelli di adesso, altrimenti viene fuori un pasticcio con tutto e di più». Di Sotgiu coinvolto ufficialmente nell’inchiesta né in passato né ora si è mai saputo nulla. Anzi nell’ordinanza di custodia cautelare per Binda, il gip Anna Giorgetti fa esplicito riferimento all’alibi che Sotgiu avrebbe confezionato per il “suo amico del cuore” Stefano Binda. In una prima dichiarazione del 13 febbraio ‘87 Sotgiu dice infatti che con un amico e Binda la notte del 5 febbraio erano andati a vedere un film ma qualche giorno dopo cambia versione dicendo di essere stato a casa di un amico - versione che all’epoca era stata confermata dai singoli componenti della famiglia - senza però Binda. Il motivo della sterzata nell’arco di cinque giorni è motivato - secondo gli inquirenti - dal fatto che nel frattempo Binda era stato interrogato e aveva detto di essere stato a Pragelato in vacanza. “La verità è che Binda non è affatto andato in montagna o forse è tornato un giorno prima e Sotgiu lo sa perfettamente” scrive il gip del Tribunale di Varese Anna Giorgetti.
Nell’intervista rilasciata a Stefano Tamagnone, Sotgiu dice che quella vacanza a Pragelato dall’1 al 6 gennaio 1987 «è un periodo lontanissimo e non sapevo tutto quello che faceva Stefano. Lui partecipava agli incontri di Gs, io facevo già l’università, quindi avevamo riferimenti diversi».