Tutto da rifare per la prima richiesta d’incidente probatorio presentata dal sostituto procuratore generale Carmen Manfredda. Richiesta che è sfociata in una dichiarazione di non luogo a procedere da parte del gip varesino Anna Giorgetti a causa «della mancata allegazione della prova della notifica all’indagato». Traducendo dal “giuridichese”, mancando la prova che Stefano Binda, in carcere dal 15 gennaio scorso con l’accusa di aver prima violentato e poi ucciso con 29 coltellate Lidia Macchi la sera del 5 gennaio del 1987, abbia effettivamente ricevuto la notifica dell’atto della Procura Generale del capoluogo lombardo con cui si chiedeva l’incidente probatorio, il gip ha dichiarato il non luogo a procedere.
Già lunedì 1, di fronte all’evidenza dell’errore di notifica, il sostituto pg ha preannunciato l’immediata riproposizione della richiesta di incidente probatorio, ovviamente accertandosi che stavolta tutte le notifiche del caso vadano a buon fine.
Fatto salvo che i legali di Binda, e cioè gli avvocati Sergio Martelli e Roberto Pasella, riproporranno a loro volta le proprie controdeduzioni all’incidente probatorio, ritenendo di fatto ingiustificata l’istanza di “interrogatorio anticipato” di alcuni testi in fase di indagini preliminari, è molto probabile che bisognerà attendere ancora qualche giorno prima di sapere se il gip asseconderà o meno la richiesta.
Per la cronaca, le dichiarazioni che la Procura Generale vorrebbe “cristallizzare” ai fini processuali sono quelle del sacerdote Giuseppe Sotgiu, amico di lunghissima data di Stefano Binda; di Stefania Macchi, la sorella di Lidia; di Paola B., l’ultima persona a vedere in vita la vittima e di Patrizia B., la donna che ha permesso di attribuire la paternità della lettera anonima ricevuta da Giorgio Macchiil giorno dei funerali della figlia.
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