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Channel: La Prealpina - Quotidiano storico di Varese, Altomilanese e Vco.
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Addio piccolo grande uomo

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Addio piccolo grande uomo

Se ne è andato senza clamore a 104 anni, dopo una vita lunga e operosa, dedicata all’arte, allo spettacolo, alla scrittura e allo sport. Difficile condensare in poche parole la lunga parabola di Ricciotti Bornia, piccolo grande uomo, probabilmente il più longevo della Città Giardino. E soprattutto un varesino d’adozione (perché lui, nato a Lugano il 1 settembre 1911, arrivò a Biumo Inferiore da piccolo) che ha sempre amato il suo territorio. E lo ha fatto per oltre un secolo, intrecciando la sua vita personale alla storia della città. Uomo di cultura, instancabile scopritore di artisti di razza quando i talent show ancora non esistevano, aveva ereditato il nome di battesimo da un figlio di Garibaldi per volere del babbo toscano: e come un combattente, pur con il suo metro e sessanta di altezza, aveva superato due guerre, la rinascita dell’Italia, la modernità con la quale sapeva sempre confrontarsi.

Perché Bornia, a metà Novecento anima della compagnia d’arte varia dell’Enal al teatrino di via Sacco, oggi “Santuccio”, ha saputo rimanere giovanotto nell’anima. Per capirlo, era sufficiente incontrarlo all’istituto Molina, dove risiedeva da qualche anno sempre circondato dall’affetto dei figli Adriano e Maurizio: pur avendo oltre 100 anni sulle spalle, minuto e agile com’era, sapeva spiccare un salto dalla sedia, raccontare dei tempi andati con una loquacità contagiosa, o intonare le canzonette bosine con gli occhi che brillavano. E la voce che non tremava. Lo scrittore-giornalista-talent scout, del resto, era stato un asso anche nel calcio, nella ginnastica, nell’ippica. E il suo fisico tenace e asciutto, allenato ogni mattina, è stato forse la formula segreta di una vita vissuta intensamente e con freschezza, in barba alla cifra scritta sulla carta d’identità. Da impresario, mise a segno dei veri colpacci, portando a Varese mostri sacri, da Nilla Pizzi a Claudio Villa, al mitico imitatore Alighiero Noschese.

«Abbiamo organizzato tantissimi eventi, spettacoli, concerti – diceva qualche anno fa -. Impossibile citare un artista su tutti: sono stati così tanti». Era un vulcano, Ricciotti: persino alle Hawaii, durante la prigionia nella seconda guerra mondiale dopo la cattura in Sicilia da parte degli americani, riuscì ad allestire in quattro e quattr’otto un campo di calcio. Come a dire, impresario nel sangue. Fu anche profeta in patria e infatti non dovette mai scontare la malinconica insoddisfazione di chi non si sente amato a casa sua: nel suo quartiere riuscì a fondare la Biumense, che diede filo da torcere addirittura ai campioni del Varese. «Sono stati anni bellissimi, incredibili. Ora i tempi sono cambiati», raccontava. Amava la penna, Bornia: scrisse per la Prealpina e conobbe da vicino il fondatore Giovanni Bagaini («persona eccezionale»). Era molto legato alla Famiglia Bosina, con il professor Giuseppe Talamoni lanciò il Gruppo folcloristico bosino portandolo sui palchi di mezza Europa. È stato ed era ancora la memoria storica di Varese: lui che ricordava l’inaugurazione del Quartiere Belfiore di Biumo nel 1923, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, aveva condensato ricordi e aneddoti in tanti libri, fra cui “America. Dolce e amara!”, “Quando a Varese c’erano i tram”, “Frammenti e immagini di storia varesina”. I funerali sono stati celebrati nella mattina di venerdì 26 febbraio nella cappella della Fondazione Molina di viale Borri. Qui da qualche anno risiedeva l’ex impresario: e qui si era fatto conoscere e amare anche da medici, infermieri e ospiti della casa per anziani. Ogni anno, il primo settembre, non mancava mai una grande torta di compleanno per festeggiare i suoi invidiabili traguardi.


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