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Morì di tumore: paghino i medici

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Morì di tumore: paghino i medici

L’ospedale di Busto Arsizio non ci sta. Condannato a versare un maxi-risarcimento agli eredi di una paziente morta di tumore, ha chiesto aiuto alla Procura regionale della Corte dei Conti così da rivalersi sui medici che, a causa di presunta negligenza, avrebbero ridotto vertiginosamente le aspettative di vita della sfortunata signora poi deceduta.

La richiesta non è caduta nel vuoto. Al contrario, il sostituto procuratore generale della Corte dei Conti della Lombardia Fabrizio Cerioni, dopo avere studiato i contenuti della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio datata 2012, ha ritenuto opportuno imbastire un processo contabile nei confronti di quattro medici. A quel che è dato sapere, l’atto di citazione è già arrivato a destinazione presso i legali dei medici e l’udienza è fissata per giugno.

La vicenda che ha determinato la notifica della citazione - ha spiegato il procuratore capo della magistratura contabile lombarda, Antonio Caruso - riguarda «un danno indiretto di 422mila 586 euro per medical-malpractice avvenuto all’ospedale di Busto Arsizio una decina di anni fa». Nel dettaglio, il danno, accertato (e, poi, quantificato) con tanto di sentenza del giudice civile di Busto, «è stato cagionato con grave negligenza ed imperizia» dai medici del nosocomio bustocco «non in grado di diagnosticare tempestivamente un tumore maligno al seno di una paziente, cagionandole di fatto una repentina diminuzione dell’aspettativa di vita dal 90 al 40 per cento».

Come si evince chiaramente dalla lettura delle motivazioni alla base della sentenza, verso la fine di settembre del 2003 la signora M.S. si recò all’ospedale di Busto per sottoporsi a una mammografia. Mammografia il cui esito evidenziò «un incremento delle microcalcificazioni rispetto alla precedente eseguita l’anno precedente, cioè nel 2002». Che cosa è successo da lì in avanti? Che nelle visite in ospedale, i medici bustocchi continuarono ad attenersi ai risultati della mammografia del 2003, senza però mai prescrivere ulteriori (ragionevoli quanto doverosi) accertamenti. Per non sapere né leggere né scrivere, però, la paziente pensò fosse opportuno sottoporsi ad ulteriori controlli in una struttura sanitaria privata, nello specifico l’Humanitas di Rozzano. Purtroppo per lei, gli esami evidenziarono la presenza di «alcuni aggregati di elementi epiteliali con pleomorfismo ed atipie sospette per malignità». Una diagnosi che indusse l’anatomopatologo dell’Humanitas a consigliare il controllo istologico della lesione e, soprattutto, un immediato intervento chirurgico. E così fu fatto. Anche se, con il senno di poi, si può dire senza timore di smentita che ormai era troppo tardi.

«Come ha ben scritto il giudice civile del Tribunale di Busto - argomenta ora il sostituto procuratore generale contabile Cerioni, che sosterrà la pubblica accusa nel procedimento contro i quattro medici -, la paziente è deceduta anzitempo a causa dei ritardi diagnostici dell’ospedale di Busto Arsizio». Di qui la condanna a oltre 422mila euro di risarcimento. Per questa somma ora la Corte dei Conti della Lombardia batte cassa ai medici presunti negligenti.


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