Già l’anno scorso, quando il presunto assassino era un altro, la famiglia Macchi aveva chiesto la riesumazione dei resti del corpo di Lidia, uccisa da 29 coltellate il 5 gennaio 1987, ritenendo che un così grande dolore fosse tollerabile nel caso l’operazione permettesse di trovare sul cadavere tracce biologiche utilizzabili per una comparazione con il Dna del sospettato. E questa disponibilità era stata ribadita dopo il 15 gennaio scorso, e cioè dopo l’arresto di Stefano Binda, il quarantottenne di Brebbia che la Procura generale di Milano, scartata l’ipotesi Giuseppe Piccolomo, ritiene ora l’assassino della studentessa ventenne di Comunione e Liberazione.
Ora, però, l’ipotesi della riesumazione fa un deciso passo avanti: è notizia di sabato 27, infatti, che il sostituto pg di Milano Carmen Manfredda ha chiesto nei giorni scorsi la riesumazione del cadavere al gip di Varese Anna Giorgetti, informando della sua istanza anche i difensori di Binda, gli avvocati Sergio Martelli e Roberto Pasella, e la famiglia Macchi, rappresentata dall’avvocato Daniele Pizzi. Questo perché la riesumazione e quindi l’analisi di quel che resta del corpo alla ricerca di tracce del Dna dell’assassino, sempre che il giudice delle indagini preliminari dica sì, si svolgerà con le modalità dell’incidente probatorio. Con atti dei consulenti della Procura alla presenza di specialisti nominati dalle parti e con stesura infine di una relazione che avrà già valore di prova in vista del futuro processo a carico di Binda. Sia che si scopra del Dna comparabile con quello del sospettato, sia che non si scopra nulla, l’esito dell’incidente probatorio sarà insomma “cristallizzato” e la ragione è di tutta evidenza: un’operazione come la riesumazione del corpo di una persona può avvenire una sola volta.
Dunque la speranza della Procura generale di Milano, che ha avocato l’indagine originariamente varesina, è quella di condurre analisi sul corpo, sepolto da 29 anni nel cimitero di Casbeno, per riscontrare l’eventuale presenza di sostanze organiche o altre tracce che potrebbero essere riconducibili a Binda, ex compagno di liceo della vittima, che avrebbe violentato e ucciso la ragazza. Esperti hanno già espresso perplessità rispetto all’ipotesi che sul corpo ci sia ancora qualcosa di utile (forse solo sotto le unghie), ma si procede ugualmente «per non lasciare nulla di intentato», come gli inquirenti hanno ribadito più volte.
Da lunedì 29 proseguiranno intanto, nel parco Mantegazza sotto sequestro le ricerche della possibile arma del delitto: un coltello. E sempre il sostituto pg Manfredda, darà l’incarico di esaminare le sei lame trovate finora sotto terra a un archeologo forense.
Secondo incidente probatorio con i consulenti delle parti