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«Cercate gli occhiali di Lidia»

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«Cercate gli occhiali di Lidia»

Parco Mantegazza, le ricerche si protrarranno ancora per qualche altra settimana sotto l’occhio vigile dell’archeologo forense Dominic Salsarola.

E, novità di lunedì 29, oltre all’arma del delitto (un coltello con una lama lunga una ventina di centimetri e larga non meno di un paio di centimetri), d’ora in avanti i militari dell’Esercito dovranno cercare nel parco sottoposto a sequestro anche gli occhiali di Lidia Macchi.

Gli stessi la cui montatura compare nella foto di copertina della raccolta di poesie pubblicata dai familiari della ventenne studentessa di giurisprudenza di Casbeno e che la ragazza avrebbe potuto indossare (poiché Lidia soffriva di miopia e alternava gli occhiali alle lenti a contatto) la sera del delitto del Sass Pinin.

Di qui l’intuizione del sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda di estendere le ricerche agli occhiali. Nulla toglie, infatti, che il sacchetto che il superteste Patrizia Bianchi avrebbe visto nelle mani di Stefano Binda (il presunto omicida secondo la ricostruzione indiziaria della Procura generale), e che poi lo stesso avrebbe abbandonato all’interno del parco del Castello di Masnago, potesse contenere, oltre al coltello, anche altri oggetti prelevati dalla scena del crimine. Oggetti da far sparire a tutti i costi.

Lunedì pomeriggio è stata la giornata dell’incarico peritale. Obiettivo analizzare i coltelli (e, a questo punto, gli occhiali) che sono stati rinvenuti e che saranno rinvenuti dall’Esercito nel Parco Mantegazza.

Esercito i cui scavi, su ordine della Procura Generale, sono ora coordinati da Salsarola, l’archeologo forense in forza al Labanof (Laboratorio di antropologia odontologica forense) presso la sezione di Medicina legale del dipartimento di morfologia umana e scienze biomediche dell’Università di Milano, al quale è stato ufficialmente conferito l’incarico come consulente di fiducia dalla Procura generale, al pari del biologo Roberto Giuffrida, responsabile del Gabinetto regionale di polizia scientifica di Milano.

Sempre ieri è stata ufficializzata anche la nomina dei consulenti di parte: il professor Andrea Piccinini, genetista forense al lavoro all’Istituto di Medicina Legale di Milano, per la difesa di Binda (gli avvocati Sergio Martelli e Roberto Pasella); e il biologo Luca Salvaderi per la famiglia Macchi (rappresentata dall’avvocato Daniele Pizzi). Che cosa chiede ai periti la Procura generale di Milano? Innanzitutto, di esaminare le nove lame (alcune sotto terra e altre no; alcune con il manico e altre no; la maggior parte delle quali arrugginite) sin qui ritrovate: le lame saranno al centro di accertamenti merceologici, biologici e naturalistico-botanici. In altre parole, gli accertamenti spazieranno dal luogo e dalla posizioni in cui sono stati trovati alla verifica di eventuali tracce di Dna presenti e riconducibili a sangue, saliva e sudore. Tracce di Dna che, nell’eventualità fossero scoperte, sarebbero successivamente comparate con quelle delle persone delle quali la Procura Generale è già in possesso.

Periti e consulenti avranno tempo un paio di mesi per completare il proprio lavoro. Ma non sono escluse proroghe.


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