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Non uccisero la loro bimba

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Non uccisero la loro bimba

Non volevano uccidere la loro piccola. O forse non pensavano di poterla ancora salvare dopo il parto nella tazza del water. E forse non sapevano neppure che fosse nata viva.

Martedì 22 il gup Giuseppe Limongelli ha condannato mamma e papà solo per procurato aborto e omicidio colposo, riqualificando il capo di imputazione che invece li accusava di omicidio volontario pluriaggravato. Quindi non una pena di sedici anni, come aveva chiesto il pm Francesca Parola al termine della requisitoria, bensì tre anni e otto mesi. La giovane albanese è scoppiata a piangere alla lettura della sentenza. E l’emozione ha percorso l’aula perché più che mai il tema della maternità si respirava appieno. Incinta di otto mesi il pm, incinta di otto mesi l’avvocato Michela Raimondi, codifensore degli imputati con il collega Antonio Battaglia. Due ricostruzioni opposte le loro, ma con identica sensibilità rispetto a quel dramma. Un dramma comunque scatenato - come si evince comunque dalla decisione del giudice - dalla volontà di non mettere al mondo la creatura che la ragazza portava in grembo ormai da sette mesi. A quanto pare i genitori si accorsero solo allora della gravidanza. Ma l’aborto a quel punto sarebbe stato illegale. Da lì la decisione di partire per l’Albania in cerca di un medico compiacente. La coppia a quanto pare lo avrebbe pure trovato, ma la spesa per l’intervento era troppo elevata, sicché si risolsero per un metodo low-cost, ossia l’assunzione di un farmaco gastroprotettore che provoca violente contrazioni uterine.

Tornati a Busto, il 24 aprile del 2014, l’allora ventunenne ingerì due pillole di Cytotec e aspettò che producessero gli effetti collaterali desiderati. Nella notte la giovane si sentì improvvisamente male, corse in bagno e partorì sulla tazza del gabinetto. La bimba passò quindi dall’utero all’acqua della toilette: a parere del medico legale nominato dalla procura, era viva quando venne espulsa dal grembo materno, ma annegò senza che - sostiene l’accusa, che infatti ottenne due ordinanze di custodia cautelare in carcere - i genitori facessero alcunché per salvarla. Secondo la difesa invece le cose andarono diversamente: non ci fu alcuna volontà di sopprimerla. A conclusione dell’arringa gli avvocati avevano proprio chiesto la derubricazione del reato a procurato aborto oppure a infanticidio per abbandono morale e materiale, perché la famiglia non ebbe alcun supporto dai parenti per affrontare l’arrivo di un secondo figlio.

Bisognerà attendere di leggere le motivazioni per capire come il gup abbia ricostruito l’evento, ma in ogni caso c’è già una certezza: il pubblico ministero Parola impugnerà la sentenza subito dopo averle studiate.


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