La sicurezza sui treni? Chiunque faccia il pendolare da anni per recarsi a Milano, potrebbe scrivere un libro con le proprie disavventure, viste o vissute. Proprio come Alessandra (nome di fantasia in tutela della sua privacy), che ha deciso di raccontare la sua esperienza, di aprirsi rivivendo quel sabato mattina che non scorderà mai più: un egiziano tentò di stuprarla. E se quello fu un caso limite, gli ostacoli sono quotidiani.
«Proprio in questo momento - dice attaccata al suo smartphone - sono alla fermata di Repubblica, di fianco a un individuo dall’aspetto molto dimesso che sta prendendo violentemente a calci da circa cinque minuti una delle macchinette distributrici di bevande, perché così facendo riesce a recuperare qualche moneta. Il tutto di fronte a un addetto con la divisa di Trenitalia che guarda il soffitto fingendo che non stia succedendo nulla».
L’indifferenza degli addetti ai lavori e dei tanti pendolari che per paura fanno finta di non vedere, sono secondo lei il primo cancro da estirpare.
«In vent’anni da pendolare ho assistito a un progressivo degrado delle condizioni di viaggio al di fuori delle fasce pendolari, al punto che mentre fino a dieci anni fa osavo prendere anche gli ultimi treni in servizio, oggi mi trovo a dover evitare qualsiasi impegno che mi porti a viaggiare dopo le 22».
Ma il fatto più grave che le è capitato accadde a mezzogiorno.
«Da quando tre anni fa sono stata aggredita, sempre per fortuna solo verbalmente, da una persona in evidente stato di forte ubriachezza, circondata da compaesani che hanno preferito guardare a terra e fingere che non stesse succedendo niente, ho iniziato ad avere veramente timore di viaggiare la sera e ho preso l’abitudine di sedermi sempre nella prima carrozza, di fianco alla cabina del macchinista».
Non quel sabato mattina di un anno e mezzo fa.
«Era mezzogiorno, per cui avevo derogato alla regola della prima carrozza, sentendomi abbastanza a mio agio. Si è avvicinato un ragazzo straniero che ha chiesto l’ora. Ho incautamente risposto, e questo lo ha autorizzato a sedersi di fianco e iniziare un monologo grazie al quale ho scoperto che era egiziano, che aveva ventitré anni, che era un clandestino e che era venuto in Italia per saltare il servizio militare, per fare qualche soldo e scopare. Alla salute di chi dice che sono tutti dei poverini. Se fino a quel momento avevo finto di ignorarlo (ma ero in realtà in allerta), sperando che si stancasse, alla parola ‘scopare’ è ovviamente scattato l’allarme generale. Solo a quel punto mi sono resa conto che tutti gli altri passeggeri erano scesi (e del capotreno manco l’ombra), per cui con indifferenza ho cercato di alzarmi per andare verso la carrozza di testa, ma lui mi ha ributtata sul sedile, mi ha immobilizzata e ha cominciato a cercare di palparmi e baciarmi dicendo «dai scopiamo, scopiamo».
Non ho reagito per non provocarlo e gli ho raccontato con calma di un marito grande grosso e cattivo che mi aspettava alla fermata e che sarebbe salito sul treno non vedendomi scendere. Sempre grazie alla fortuna se l’è bevuta e mi ha mollata, e sono scesa».
Cuore in gola all’inizio, rabbia profonda subito dopo. Avrebbe dovuto denunciarlo, perché alcuni elementi l’hanno indotta a credere che fosse un molestatore seriale, ma alla fine ha prevalso la sfiducia nel sistema giudiziario italiano.
«Gli avrebbero dato un buffetto e detto di fare il bravo, e sapendo dov’ero salita avrebbe potuto tornare a cercarmi».
Alessandra non ha smesso di muoversi in treno, ma non è più tranquilla.
«Ho ormai capito che sui pochi connazionali in viaggio non si può fare conto e i capotreno sono pressoché inesistenti. Ma del resto, come dargli torto? Uno di loro ha quasi perso un braccio per aver chiesto di controllare un biglietto. Posso solo sperare che lo spray al peperoncino che ho comprato funzioni».