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Binda resta in carcere

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Binda resta in carcere

Stefano Binda deve restare in carcere. Lo ha stabilito la prima sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso della difesa contro l’ordinanza firmata dal gip di Varese.

Sergio Martelli, avvocato di Binda - in carcere dal 15 gennaio per l’omicidio di Lidia Macchi, avvenuto all’inizio del 1987 - aveva presentato la richiesta di scarcerazione direttamente alla Suprema Corte, evitando il vaglio del riesame. Puntava all’insussistenza delle esigenze cautelari, sottolineando che non esiste pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove.

Nella giornata di venerdì, a Roma, era andato in scena un confronto duro nell’aula della prima Corte di Cassazione, specializzata nei reati di omicidio. Da un lato, l’avvocato Martelli, dall’altro il rappresentante della pubblica accusa, il sostituto procuratore generale presso la Cassazione Alfredo Pompeo Viola. Al centro dell’udienza, che si è svolta a porte chiuse e si è protratta per poco meno di un’ora, il ricorso depositato nel gennaio scorso dal collegio difensivo di Binda (oltre a Martelli, ne fa parte anche l’avvocato Roberto Pasella) e volto ad ottenere la scarcerazione del proprio assistito alla luce «dell’assoluta insussistenza delle esigenze cautelari» contestate nell’ordinanza di custodia cautelare a firma del gip varesino Anna Giorgetti.

Con la difesa ad argomentare le ragioni del sì alla scarcerazione, e la Procura generale a perorare invece la causa opposta e, cioè, a chiedere, alla luce dei gravi indizi di colpevolezza, il rigetto del ricorso, sostenendo come la custodia cautelare in carcere nei confronti di Binda era e resti «l’unica misura cautelare adeguata alla salvaguardia delle esigenze di prevenzione speciale, nonché proporzionata alla gravità del fatto». Alla fine la Suprema Corte ha dato torto alla difesa.

Lunedì 2, intanto, è stato fissato un nuovo incidente probatorio davanti al gip Giorgetti. Stavolta non ci sarà nessun interrogatorio di testi (come era avvenuto nell’udienza del 15 febbraio), bensì le parti faranno il punto sullo stato di avanzamento degli accertamenti tecnici collegati alla riesumazione della salma di Lidia Macchi e indirizzati ad individuare tracce di Dna dell’assassino. Voci sempre più insistenti danno per molto probabile che, alla luce delle prime analisi, Cristina Cattaneo, l’anatomopatologa più conosciuta d’Italia, incaricata dal gip Giorgetti, possa sollecitare al giudice la nomina di un nuovo perito genetista.


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