La scorsa udienza non se ne fece nulla a causa di un legittimo impedimento opposto per un concomitante impegno romano. Stavolta, altro stop: il Tribunale di Milano ha sospeso fino al prossimo 23 giugno il processo a carico del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, imputato con le accuse di induzione indebita (il “vecchio” reato di concussione) e turbata libertà di scelta del contraente perché avrebbe favorito due sue ex collaboratrici al Ministero dell’Interno. Di fatto, il presidente della quarta sezione penale Oscar Magi ha accolto la richiesta del difensore del governatore, l’avvocato Domenico Aiello, volta a “congelare” i lavori in aula per tutto il periodo della campagna elettorale amministrativa, essendo Maroni candidato come capolista al Comune di Varese per la Lega, in ossequio alla disciplina sulla cosiddetta “par condicio” stabilita dall’Agcom (Autorità per le garanzie delle comunicazioni) che stabilisce il silenzio elettorale già a partire dal prossimo 29 maggio. Ciò premesso, il Tribunale di Milano ha disposto, da un lato, la sospensione dei termini della prescrizione fino al 23 giugno e, dall’altro, il diritto dell’imputato all’elettorato passivo. Due le accuse contestate a Maroni. La più grave - soprattutto perché, in base alla legge Monti-Severino, in caso di condanna lo farebbe immediatamente decadere dalla presidenza della Regione Lombardia - è quella di induzione indebita effettuata sui vertici della società Expo Spa. Il motivo? Spingerli a sborsare i 6.500 euro necessari per sostenere le spese di Maria Grazia Paturzo - sua ex collaboratrice al Viminale a lui legata, stando all’accusa, da una «relazione affettiva» - durante la missione del “World Expo Tour” a Tokio del giugno 2014. Maroni risponde inoltre dell’accusa di turbata libertà nella scelta del contraente, sempre per aver favorito un’altra sua ex collaboratrice quando era ministro dell’interno.
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