L’assemblea dei soci di Accam è convocata per lunedì prossimo. Fa nulla se le amministrative siano alle porte e maneggiare la materia sia elettoralmente pericoloso. Perché il Cda dell’azienda orfano del presidente Emilio Cremona ha il dovere di illustrare l’esito degli studi di fattibilità. E di mettere tutti con le spalle al muro. Gli approfondimenti hanno infatti dimostrato che l’indirizzo scelto dalla maggioranza dei ventisette municipi del consorzio non regge, se non a costo di dissanguare le casse comunali.
Se infatti la strada percorsa fosse quella pura votata dai soci - ovvero spegnere l’inceneritore a fine 2017 e trovare un’altra area dove farci la fabbrica dei materiali - la spesa sarebbe salatissima: 10 milioni di euro, forse di più. Soldi da ripartire in base alle quote azionarie, quindi con Busto chiamata a mettere sul piatto più di 2 milioni e Legnano e Gallarate non distanti dalla cifra.
Per adesso i sindaci del comitato di vigilanza non vogliono fasciarsi la testa. Ma i numeri sono inquietanti: la chiusura accelerata del sito, infatti, presenta ammortamenti concentrati, penali e spese di bonifica (sui cui la Regione è ancora latitante) da far tremare i polsi. Non solo: anche il nuovo impianto a freddo per riciclo e riuso degli scarti, nell’analisi, ha dimostrato di non essere in grado di generare utili (per “colpa” di una raccolta differenziata troppo alta) e i fondi necessari per la sua realizzazione in un luogo che ancora non esiste rappresenterebbero un enorme salasso. E poi c’è la questione Forsu, rifiuto umido che Legnano vorrebbe gestire in un nuovo spazio già individuato ma alle prese con le contestazioni e i contenziosi aperti dai comitati locali. Insomma, le criticità sono tante, al punto che gli amministratori dell’azienda di incenerimento lunedì presenteranno anche proiezioni per prolungare la vita dei forni fino al 2019 o al 2021, in modo da posticipare, spalmare e in parte ridurre le spese. E sono ipotesi che, di principio, moltissimi soci non vogliono neppure considerare.
Per salvare capra e cavoli, ed evitare che l’urlo di gioia per lo stop fra venti mesi resti strozzato dalla beffa, c’è però chi sta cercando strategie alternative. Scelte che però implicano un passo indietro da parte di due Comuni. Il primo è proprio Busto Arsizio, che finora ha sempre annunciato l’intenzione di ripulire l’area Accam e farci un parco una volta che l’avventura di incenerimento sarà finita. Ma per tenere in piedi la baracca (a meno che non si voglia versare un capitale, liquidare l’azienda con i suoi posti di lavoro e scaricare tariffe pazze sui cittadini) molti sindaci chiederanno al nuovo reggente di Palazzo Gilardoni di ripensarci, di lasciare il terreno a disposizione, di poter costruire lì l’impianto a freddo (in tal caso perlomeno in grado di puntare al pareggio di bilancio) e di accogliere sempre nello stesso luogo un centro di trattamento degli scarti umidi che generi utili. In pratica la proposta riguarderà la disponibilità a mantenere una Borsano a vocazione rifiuti ma con attività ambientalmente a impatto minimo, legato solo ai mezzi che raggiungeranno il sito.
Per completare il quadro, serve però che un’altra amministrazione scenda a patti. È Legnano, che appunto il suo impianto per l’umido lo vorrebbe fare e che dovrebbe invece accordarsi per rivedere gli investimenti già fatti o coordinarsi con un “gemello” a Borsano. Insomma, una bomba a orologeria che esplode in piena campagna elettorale, costringendo a prendere una posizione che, qualunque sia, scontenterà qualcuno.