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«Dovete dirci come morì nostro figlio»

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«Dovete dirci come morì nostro figlio»

Da Catania a Ganna e poi a Lugano. Un pellegrinaggio del dolore che ancora non ha termine, per i genitori di Alessandro Pappalardo, l’operatore ecologico italiano che il 28 novembre 2012 morì schiacciato da un camion della nettezza urbana, mentre era al lavoro per una ditta svizzera in località Collina d’Oro, a Lugano. Una morte atroce: l’uomo, che ha lasciato la compagna e due figli piccoli, ha perso la vita investito dal camion per la raccolta dei rifiuti, pesante oltre 20 tonnellate, che l’ha travolto senza lasciargli scampo.

Silvana Riccio e Carmelo Pappalardo, mamma e papà, che abitano a Catania, la città di cui era originario il frontaliere, da allora non si danno pace. E tornano regolarmente in Valganna, come è avvenuto anche pochi giorni fa, perché qui ci sono i due figli del loro Alessandro, ma anche perché, da quel terribile giorno, sono convinti che i fatti «non si siano svolti come ci hanno raccontato. E non capiamo per quale ragione - dicono - Tanto che anche questa volta siamo arrivati in Canton Ticino per cercare di capire». Elencano una serie di elementi che, secondo loro, assolutamente non quadrano con la morte di Alessandro. «Se fossimo convinti che le cose fossero andate come ci dicono, quel giorno, ci daremmo pace - ragiona il signor Carmelo - Ma sono troppi i dettagli che non tornano». Partendo dal rapporto stilato in Canton Ticino, e che il loro avvocato catanese si è fatto inviare tramite il consolato, non li convince il fatto che «il camion sia salito addosso a mio figlio, quando è sceso dal predellino come sempre per raccogliere i sacchi di rifiuti. Ma come è possibile? Il suo volto era intatto, se si eccettua un grosso ematoma sul lato destro della testa. E poi c’è un referto dell’autopsia che parla di una sua presunta ubriachezza. Eppure lui aveva bevuto, come mi hanno detto i colleghi, solo due lattine di birra».

I coniugi Pappalardo chiariscono subito che non è una questione di denaro, «anche se in Svizzera non vengono risarciti dall’assicurazione i genitori e i fratelli (Alessandro non era sposato ma convivente). Secondo noi il camion era guasto: questo è successo. E non possiamo più chiederlo a chi lo guidava, un altro italiano, un suo amico, perchè è morto d’infarto 9 mesi dopo e quindi la Svizzera ha chuso le indagini». I Pappalardo sono convinti insomma che siano troppi i misteri che si addensano sulla morte del fglio. «E se foss un atto di violenza all’origine della sua caduta? Non dimentichiamo che aveva il braccio sinistro spezzato. E’ il rapporto che ci hanno consegnato a dirci che c’è più d’una incongruenza. Per lui, arrivato nel 2010 quassù per lavorare, vorremmo che fosse fatta chiarezza: nonostante le udienze che si sono svolte a Lugano, per noi la sua morte è ancora avvolta nel mistero».


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