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«I Bossi mantenuti dalla Lega»

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«I Bossi mantenuti dalla Lega»

«Dopo la malattia di Umberto Bossi, non solo all’allora leader leghista, ma anche sua moglie e i figli erano interamente mantenuti dalla Lega».

Di più, «i costi dei suoi “ragazzi” erano addirittura di gran lunga superiori a quelli che lo stesso segretario della Lega Nord immaginava».

È uno dei passaggi clou delle motivazioni alla sentenza con cui nel marzo scorso il giudice dell’ottava sezione del Tribunale penale di Milano, Vincenzina Greco, ha condannato con rito abbreviato Riccardo Bossi(nella foto) a un anno e otto mesi per appropriazione indebita aggravata (attenuanti generiche e sospensione condizionale della pena).

Un passaggio, per dovere di cronaca, mutuato dalle intercettazioni telefoniche tra Francesco Belsito e Nadia Gradara, rispettivamente tesoriere e segretaria personale di Bossi, carpite dagli inquirenti all’epoca dello scandalo sui fondi neri del Carroccio esploso nella primavera di quattro anni fa.

Nello specifico, Riccardo Bossi, 36 anni, è finito sotto processo per presunte spese personali da 158mila euro con i fondi pubblici provenienti da rimborsi elettorali elargiti nel biennio 2008-2009.

Con i fondi della Lega attinti dal contribuente, il primogenito di casa Bossi avrebbe pagato «debiti personali», «noleggi auto», le rate dell’Università dell’Insubria di Varese, l’affitto di casa, il «mantenimento dell’ex moglie»; l’abbonamento alla pay-tv, «luce e gas» e anche il «veterinario per il cane». Per il giudice, che ha depositato le motivazioni anche prima del termine fissato in sentenza, «l’impianto probatorio è ponderoso e granitico» e, tra gli elementi che hanno portato alla condanna del figlio dell’ex segretario del Carroccio, il magistrato in una quarantina di pagine ha richiamato le intercettazioni tra Belsito e Dagrada.

Di tutt’altro avviso l’avvocato Francesco Maiello, che ha già annunciato il ricorso in appello: «L’impressione è che con questa sentenza si sia voluto coinvolgere, a tavolino, il figlio nel reato al massimo commesso dal padre.

Il padre autorizzò un suo collaboratore a dare quei soldi a Riccardo, ma lui non sapeva nulla del fatto che quei soldi derivassero, secondo l’ipotesi d’accusa, da finanziamento pubblico».


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