C’è ancora tempo fino alla fine di ottobre. Tuttavia, i pm milanesi Enrico Pavone e Francesco Cajani contano di formalizzare già a metà settembre la richiesta di giudizio immediato nei confronti di Abderrahmane Khachia. Il 23enne marocchino residente a Brunello è in carcere dallo scorso 28 aprile nell’ambito dell’operazione antiterrorismo condotta da Digos e Ros, in quanto ritenuto ormai pronto a diventare uno jihadista «fedele all’organizzazione criminale denominata Stato Islamico», seguendo così l’esempio del fratello maggiore, Oussama, il 31enne “foreign fighter” morto in Iraq nel dicembre scorso combattendo per le milizie del Califfato.
In Procura si attendono le traduzioni di quanto scritto nei cellulari e computer sequestrati al giovane marocchino, ora recluso nel carcere di Sassari, dopodiché partirà la richiesta di giudizio immediato, lo strumento processuale che consente alla pubblica accusa di saltare l’udienza preliminare perché la prova è considerata evidente. Khachia junior è accusato di terrorismo internazionale, il reato previsto dall’articolo 270 bis del codice penale, introdotto sulla scia dell’11 settembre 2001. Un’imputazione condivisa con altri tre indagati, tutti sottoposti a custodia cautelare in carcere: una coppia marocchina residente a Lecco composta da Abderrahim Moutaharrik, 24 anni, un operaio con la passione per la boxe thailandese, e dalla moglie di quest’ultimo, Salma Bencharki, di 26 anni, entrambi accusati di voler raggiungere a breve il teatro di conflitto siro-iracheno, portando con loro i figli di 2 e 4 anni, e Wafa Koraichi, 24 anni, marocchina residente a Baveno, sorella di Mohamed Koraichi, 31 anni, un saldatore di Bulciago, provincia di Lecco, da tempo in guerra nelle terre del Califfato, dopo aver lasciato nel febbraio di un anno fa l’Italia alla volta della Siria assieme alla moglie Alice Brignoli, 39 anni di Erba (nei loro confronti è stato emesso un mandato di cattura internazionale) e ai tre figli piccoli. Secondo le argomentazioni dei giudici del Tribunale Riesame di Milano per respingere la richiesta di scarcerazione formalizzata dal suo difensore, l’avvocato Luca Bauccio, Khachia, Moutaharrik e sua moglie «si preparavano a partire per i territori di Daesh; facevano proselitismo; si erano messi a disposizione dell’organizzazione che poteva contare su di loro per compiere attentati, anche in Italia; avevano preso sicuramente contatti con soggetti appartenenti all’Isis». Inoltre, sull’ex studente di Brunello, i cui genitori sono stati nel frattempo espulsi dall’Italia, pesa come un macigno, oltre alle intercettazioni telefoniche, un messaggio vocale inviato via WhatsApp ad uno sceicco in Siria per ottenere la “tazkia” - l’autorizzazione a recarsi nelle terre occupate dall’Isis -, in cui avrebbe reso esplicito il desiderio di diventare un soldato della Jjihad.