Quantcast
Channel: La Prealpina - Quotidiano storico di Varese, Altomilanese e Vco.
Viewing all articles
Browse latest Browse all 31139

Un gigante di nome Andrea

$
0
0

Andrea Macchi

Quando ascolti il suo racconto ti vengono i brividi. Dentro di te ti fai una domanda e ti dai pure una risposta. «Ma esistono ancora i pazzi a questo mondo?».

Partecipare al Tor de Geants è di per sé una follia perché significa portare all’estremo ogni resistenza umana. Tanto più quest’anno che la gara è stata interrotta per le avverse condizioni meteo. Eppure Andrea Macchi, giardiniere e portacolori dell’Atletica Gavirate, colui che aveva promesso eterno amore alla sua Chiara l’anno scorso appena conquistata la maglia da finisher della gara, ci ha riprovato. Ed è stata un’impresa leggendaria. È stato fermato, con gli altri atleti rimasti in gara, a circa cinquanta chilometri dal traguardo per le proibitive condizioni del meteo, ma la classifica lo colloca al sedicesimo posto assoluto, tra i primi italiani su più di ottocento concorrenti. Adesso sta bene, passeggia sereno in Val Ferret con la moglie, poi si concede alla premiazione in piazza, a Courmayeur, ma non ha dubbi nell’affermare: «Sì, stavolta ho pensato che potevo morire».
«Sono partito sotto l’acqua da Courmayeur - racconta Andrea - senza forzare ma è stato terribile affrontare i tre colli successivi».

2.800, 3.000 e 3.300 metri di altitudine: ecco serviti i primi tre giganteschi ostacoli affrontati con pioggia e neve lassù in alto.

«Mi sono detto: meglio non dormire perché se non sei arrivato al limite, se gli occhi non ti si chiudono e non arrivi al punto di non capire nemmeno quali siano le strade giuste, non riesci nemmeno a riposarti. Così sono andato avanti, tra freddo e sonno ho affrontato le salite. A un certo punto non ce la facevo proprio più e ho dormito cinque minuti sotto una pianta, mentre pioveva. Ho scollinato di notte con la neve che veniva giù e io che mi aggrappavo ai bastoncini per non cadere. Ho avuto paura, ero solo e non sapevo se ce l’avrei fatta».

Gli altri concorrenti, anche se ci sono, vanno al loro ritmo, «per carità, se c’è bisogno ci si aiuta ma in quel momento eravamo tutti cotti come mondelle».

Dopo una notte del genere, vedere Cogne all’orizzonte è come sentirsi in paradiso.

«Lì c’è Chiara che mi attende, mi sistema i piedi pieni di fiacche, mi cambia i cerotti e mi dà le altre scarpe. Poi riparto».

Piove sempre.

«Di giorno viaggio con mantellina e cappuccio, di notte con la lampada. Non vedo più avanti di un metro sotto ai miei piedi. Mi sembra di diventare matto».

Cominciano le nuove difficoltà, i sassi, la lunga discesa e la salita tosta.

«Ho visto un concorrente che dalla fatica litigava con i sassi. Mi sono detto: basta, ora devo tornare nel mondo degli umani». Superato Niel («dove l’anno scorso volevo dare l’anello a Chiara perché non ce la facevo più»), si va verso Gressoney. La fatica inizia a penetrare ogni fibra dei muscoli, ma Andrea Macchi va avanti fino ad Ollomont dove arriva la notizia dell’interruzione della gara perché sull’ultimo colle le condizioni atmosferiche sono proibitive. Mancano cinquanta chilometri al traguardo ma va bene così. Non resta che festeggiare. E riposare.
Andrea torna al lavoro lunedì 21 settembre, già progetta la prossima avventura al trofeo Kima di Val Masino in provincia di Sondrio il 28 agosto ma soprattutto pensa al viaggio di nozze in Australia nel periodo di Natale. Meritato.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 31139

Trending Articles