Arrabbiati, delusi e spaventati per il futuro: sono gli esodati varesini, che alimentano quella compagine di 50mila persone in Italia rimaste senza reddito e senza pensione all’indomani della riforma Fornero. Questi italiani nel limbo sono tornati a far sentire la propria voce, per chiedere di trovare una soluzione al più presto. Difficile quantificare il fenomeno a livello provinciale: ai soli uffici della Cgil Varese vengono seguiti circa trecento lavoratori di diversi settori. Il dato è dunque stimato per difetto ed è in continuo aggiornamento per la gestione di altre ristrutturazioni aziendali che potrebbero far emergere nuove posizioni simili in caso di licenziamenti.
«Stiamo seguendo centinaia di lavoratrici e lavoratori – ribadisce il segretario provinciale della Cgil Umberto Colombo -. E parliamo solo dell’ultima tranche, di quella cioè che non ha ancora potuto contare sulle prime coperture garantite dal governo. Ma al di là dell’esatta quantificazione, questo problema è gravissimo e va affrontato una volta per tutte. Non possiamo accettare che ci sia una larga fetta di popolazione impossibilitata ad arrivare alla pensione, rimasta senza lavoro e senza la possibilità di trovarne un altro in alternativa. Parliamo di dipendenti che hanno intrapreso percorsi di mobilità prima dell’approvazione della legge Fornero e così si sono ritrovati in questa condizione assurda».
Niente pensione e niente lavoro, perché spesso si è accettato di uscire volontariamente, magari per aiutare le aziende in cui è iniziata e finita l’intera carriera, con la previsione dello scivolo con la mobilità, così da arrivare all’anzianità giusta per il meritato riposo. Ma ecco la sorpresa, con l’innalzamento dell’età pensionabile: il riposo può attendere e lo stipendio mensile nel frattempo si è volatilizzato. Che fare? «Chi è andato in mobilità e ha accettato lo scivolo pensionistico ha fatto spesso una scelta di altruismo, con senso di responsabilità, per far entrare in azienda dei giovani lavoratori ed evitare licenziamenti ben più pesanti – prosegue Colombo -. Hanno accettato di stipulare questo accordo con ricadute positive per tanti altri colleghi, salvando anche altri posti di lavoro e le attività produttive. Insomma, hanno fatto grandi sacrifici non pensando solo a loro stessi: per questo è doppiamente inaccettabile il modo in cui vengono trattati, proprio dal punto di vista etico».
Nella maggior parte dei casi, i varesini “sospesi” sono persone con oltre 50 anni, che hanno accettato mobilità di tre anni, con la prospettiva di arrivare in questo modo alla giusta anzianità. «Oltre al danno, hanno subito la beffa – incalza il segretario -. Immaginiamo tutte le difficoltà che vengono di conseguenza dal punto di vista familiare o psicologico. C’è un altro problema, poi: l’estensione degli ammortizzatori sociali ad altre categorie ha reso la coperta ancora più corta e ora le risorse, paradossalmente, si sono ridotte per tutti. In futuro sarà ancora peggio. Rischiamo inoltre di vedere un peggioramento della situazione nella gestione di altre ristrutturazioni aziendali sul territorio».
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Esodati, un esercito a Varese
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