«Restiamo in attesa, con la paura che tutto questo discutere alla fine partorisca un pastrocchio all’italiana, in cui non vedremo riconoscere i nostri diritti».
Elena Martignoni fa parte con la compagna Valentina Candiani delle Famiglie Arcobaleno. E’ madre biologica di Luca, nato dal seme di un uomo dei Paesi scandinavi. Valentina è ugualmente mamma di questo ragazzino, che oggi ha sei anni e frequenta a Busto Arsizio la prima elementare: era in sala parto con Elena ed è stata la prima a prenderlo tra le braccia. Con tutto l’amore possibile.
Il dibattito sul Ddl Cirinnà nella casa di questa famiglia bustese è seguito passo passo. Con apprensione.
C’è chi dice che la legge riguardi solo 1500 persone: cosa ne pensate? «Che ci siamo anche noi. E che ci si dovrebbe ragionare anche se si trattasse di un caso solo - risponde Elena - Questa non è la legge migliore che ci si possa aspettare, è il minimo sindacale, neanche tanto per darci dei diritti ma per inchiodarci ai nostri doveri di genitori».
Elena è molto chiara: «E’ questo quello che io e Valentina e le Famiglie Arcobaleno stiamo chiedendo, non vogliamo dei diritti per noi ma che Luca abbia i diritti di cittadino italiano uguali a quelli dei suoi compagni di scuola. Chiediamo che noi, noi come altri genitori, compresi quelli presenti al Family Day, abbiamo gli stessi doveri di cura, mantenimento, legame affettivo, nel caso il rapporto finisca o se io dovessi morire».
Luca compirà a breve sette anni. Va a scuola e questo aveva fatto temere alle due mamme l’insorgere di problemi. «Invece, nel quotidiano, nonostante abitiamo a Busto Arsizio, a oggi non è mai successo nulla di spiacevole. Lui non si sente un bambino discriminato e noi viviamo buoni rapporti con mamme, compagni e insegnanti - spiega Elena - I nostri figli crescono bene indipendentemente dal legislatore e andranno avanti a crescere: bisognerà farsene una ragione. Sta al parlamento decidere se avere a cuore il bene dei nostri bambini».
Il Ddl non è visto come la risoluzione. «Impone norme discriminanti: Valentina dovrebbe adottare suo figlio. dovremmo andare dal giudice e dimostrare di essere buoni genitori. Ma lo faranno tutti o solo noi perché siamo omosessuali? Allora dicano che il problema è il nostro essere omosessuali, pochi hanno il coraggio di dirlo e questa cosa del voto segrteto è sintomatica. Noi ci mettiamo la faccia, i parlamentari, mentre devono decidere il futuro di minori italiani, non hanno questo coraggio. Sarebbe giusto giocare a carte scoperte: Sei contro? Fammi vedere chi sei».
Chi conosce Elena e Valentina, amici e colleghi di lavoro, sa che non sono “diverse” dagli altri. Ma il problema è proprio farsi conoscere.
«Lo stress piu grande che viviamo come famiglie omogenitoriali non è la paura di trovarci davanti qualcuno che sia contro di noi ma dover stare ogni volta a pensarci. Se porto Luca a fare una visita medica, il dottore potrebbe rifiutarsi di parlare a Valentina e la legge è dalla sua parte. E’ devastante che possa farlo, davanti a mio figlio. Per fortuna non ci è mai capitato, abbiamo incontrato persone capaci di guardare all’interesse del bambino, che approvassero o meno le mie scelte sessuali non mi importa».
La coppia è certa che un un riconoscimento alle unioni civili ci sarà, «se non altro per evitare sanzioni dall’Europa». Ma potrebbe essere un «pastrocchio»: «Potrebbero darci una cosa che non è il matrimonio, togliendo la stepchild adoption. Resteremo due single che vivono con il figlio di una delle due. E in alcune famiglie anche la stepchild non rende fratelli figli nati dalla stessa persona, perché si riconosce solo la responsabilità individuale, non ci sono sono né nonni né altri parenti. E’ giusto così?».