«La mia preferenza nei confronti di Stefano Binda era dovuta unicamente al fatto che si trattava di un ragazzo estremamente intelligente che poteva fungere da riferimento e da elemento di aggregazione per gli altri compagni di Gioventù Studentesca, una sorta di capoclasse».
Nelle dichiarazioni assunte a sommarie informazioni nell’ottobre scorso dalla Squadra Mobile di Varese (e riportate dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere a firma del gip varesino Anna Giorgetti), don Fabio Baroncini, sul finire degli anni Ottanta responsabile della gioventù varesina aderente a GS e a Comunione e Liberazione, oggi parroco in una chiesa di Niguarda, a Milano, ha descritto così il 48enne di Brebbia accusato di aver violentato e poi ucciso con 29 coltellate Lidia Macchi la sera del 5 gennaio del 1987.
Il prossimo 15 febbraio l’assistente spirituale di Cl - ai tempi insegnava anche al Liceo classico Cairoli -, dovrà presentarsi a Palazzo Giustizia a Varese per essere sentito con la formula dell’incidente probatorio. È di venerdì 5 la notizia che il gip di Varese ha accolto integralmente la richiesta del sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda fissando l’incidente probatorio tra due lunedì. Incidente probatorio al quale potrebbe intervenire-anche se solo in qualità di “spettatore” - lo stesso Binda, che dopo l’arresto del 15 gennaio si trova sottoposto a carcerazione preventiva nel carcere di San Vittore. Oltre a don Fabio, saranno altre cinque le persone coinvolte dall’incidente probatorio richiesto dalla pubblica accusa per anticipare - rispetto al dibattimento vero e proprio - la fase di formazione della prova e così collocarla durante le indagini preliminari. Già, perché le dichiarazioni rese sotto forma di incidente probatorio - in genere, sollecitate qualora i testi possano essere sottoposti a possibili e ad eventuali pressioni finalizzate ad inquinare il quadro probatorio -, hanno a tutti gli effetti valore processuale. Davanti al gip Giorgetti saranno “cristallizzate” le testimonianze di Giuseppe Sotgiu, oggi sacerdote a Torino, che a suo tempo diede due versioni diverse circa l’alibi di Binda (è assodato che il legame tra i due fosse molto stretto); e di Stefania Macchi, che ha raccontato come sia lei sia la sorella Lidia conoscessero bene Binda e gli fossero affezionate. Di più, che la frequentazione fosse stata assidua e che Lidia lo stimava molto e lo riteneva particolarmente intelligente.
Ancora: nella lista testi da “assumere” in sede di incidente probatorio figurano inoltre Patrizia B., la 50enne ex amica intima di Binda che ha dato il là agli ultimi sorprendenti sviluppi delle indagini, a cominciare dall’identificazione della lettera anonima ricevuta dai familiari della vittima quattro giorni dopo il delitto, avvenuto il 5 gennaio del 1987; Paola B., un’altra buona amica di Binda, l’ultima persona che ebbe modo di vedere Lidia in vita (era ricoverata all’ospedale di Cittiglio e Lidia era andata a trovarla poche ore prima dell’omicidio, ndr); e Emanuele Michele F., un amico di Binda e Giuseppe Sotgiu, piuttosto categorico nell’escludere la presenza dell’indagato nella vacanza del gruppo varesino di GS a Pragelato nei primi giorni di gennaio del 1987.