«Indagate don Giuseppe Sotgiu per falsa testimonianza». Lascia strascichi non da poco il chilometrico incidente probatorio, svoltosi al tribunale di Varese fino a quasi alla mezzanotte di lunedì 15 febbraio, che ha visto per protagonisti sei testimoni nel procedimento legato all’omicidio di Lidia Macchi. Al termine dell’interrogatorio anticipato richiesto dal sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda, nel corso del quale l’ex amico del cuore di Stefano Binda (nonché coetaneo, compagno di liceo e vicino di casa a Brebbia fino a quando ha deciso di consacrarsi alla vita sacerdotale) ha costellatola propria deposizione di tanti (troppi?) «non so» e «non ricordo», il gip varesino Anna Giorgetti ha deciso di rinviare gli atti al pubblico ministero competente, la Procura di Varese, perché valuti se procedere o meno per il reato di falsa testimonianza nei confronti di don Giu. Che cosa dice l’articolo 372 del codice penale?
La denuncia del gip riguarderebbe solo il profilo della reticenza. In altre parole, Sotgiu, complice un atteggiamento definito da più parti a metà tra lo «sfuggente e l’irritante», avrebbe di proposito non detto quello che sa.
Per esempio, in merito al presunto alibi di Binda, la sera del delitto di Lidia. A suo tempo, il parroco, ora di stanza a Torino, fornì due versioni non del tutto compatibili sull’alibi suo e dei suoi amici il giorno del delitto. Dimenticandosi, però, nel caso di Binda, del fatto che l’amico sarebbe stato in vacanza con il gruppo di Gioventù Studentesca a Pragelato. Lo strano comportamento dell’allora seminarista aveva già messo sul chi va là l’allora pm Agostino Abate.
Intanto s’è aperta la terza giornata di ricerche, quella di mercoledì 17 febbraio, al Parco Mantegazza. I militari del Genio guastatori di Cremona hanno continuato a setacciare il terreno di Masnago, spostandosi dal prato nei pressi dell’area attrezzata alla parte più collinare, verso il cancello che si affaccia sul parcheggio di via Monguelfo.
Passo dopo passo, centimetro dopo centimetro, la dozzina di soldati dell’Esercito - arrivati in città a bordo di due furgoni - sta scandagliando con metal detector e geoscanner il sottosuolo del parco pubblico. Proprio qui, infatti, secondo l’accusa sostenuta dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, Stefano Binda potrebbe essersi sbarazzato dell’arma utilizzata per uccidere Lidia Macchi.
Ampi servizi sulla Prealpina di mercoledì 17 febbraio.