Stefano Binda si è avvalso della facoltà di non rispondere. Come già aveva fatto pochi giorni dopo il suo arresto, l’uomo che dallo scorso 15 gennaio è accusato di aver violentato e ucciso nel gennaio 1987 la studentessa di Varese Lidia Macchi, venerdì 11 marzo è comparso davanti al sostituto pg di Milano Carmen Manfredda per un nuovo interrogatorio.
Da quanto si è appreso dai legali di Binda, Sergio Martelli e Roberto Pasella, il sostituto pg ha disposto l’interrogatorio «anche per consentire all’uomo di confessare e alleggerire la propria posizione».
Binda, detenuto nel carcere milanese di San Vittore, dove si è tenuto l’interrogatorio, continua a proclamarsi innocente. Avrebbe spiegato anche di «non sapere nulla» della lettera anonima (già nota agli inquirenti) inviata alla famiglia Macchi nel 1987 e diffusadal legale della famiglia nel tentativo di identificare chi l’ha scritta. Nella missiva firmata «Una mamma che soffre» l’assassino - individuato attraverso pratiche medianiche - veniva indicato come «un amico di Comunione e Liberazione» della vittima.
Ampio servizio sulla Prealpina di sabato 12 marzo.