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«I 10 anni più belli della mia vita»

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«I 10 anni più belli della mia vita»

Gigi Farioli, sindaco di Busto Arsizio dal 2006, l’avventura alla guida della città per lei è finita. Cosa si sente di dire?

«In queste ore terminano dieci anni che sono infinitesimali per la vita di una comunità, ma che nella mia sono indimenticabili. Subito mi vien da dire grazie alla città, ai miei genitori e al Padreterno per ciò che mi hanno dato».

Se avesse un posto in Regione o in parlamento, e poi le proponessero di scambiarlo con quello da sindaco, che farebbe?

«Senza ipocrisia e opportunismo, giuro che accetterei di continuare l’avventura in Comune. È stata un’esperienza impagabile dal punto di vista politico, umano e per la difesa della democrazia».

È contento di quanto fatto?

«Giudichino gli altri. Di certo il giorno della prima elezione, sebbene venissi da vent’anni di politica, mi tremavano le vene. Oggi ho la consapevolezza di esserne stato in grado e, a chiunque verrà dopo, consiglio di affrontare la sfida con la mia stessa umiltà».

Dopo questi dieci anni, quanto si sente arricchito?

«Dal punto di vista del patrimonio sicuramente sono più povero. Ma ci sono cose che ti danno molto di più dei soldi. Ho potuto consolidare esperienze, incontri e amori. E, non lo dimentico, ho anche incontrato Elena».

E adesso Farioli che farà?

«Non nascondo che negli ultimi sei mesi ci sono state ansia, depressione e paura del vuoto. Ma tutte queste cose si sono dissolte quando un mese fa ho deciso di rimettermi in gioco come capolista di Forza Italia, ripartendo proprio mentre festeggiavo il mio sessantesimo compleanno verso il futuro. Poi, si sa, il futuro è nelle mani di Dio e nella mia capacità di avere qualcosa da dare. Non per forza in campo istituzionale».

Lei è consapevole che, chiunque vincerà le elezioni, non sarà comunque come Farioli...

«Giusto così, l’unicità dell’individuo è la bellezza della vita, nel bene e nel male. Consiglio al prossimo sindaco di essere se stesso perché, se c’è una cosa di cui sono orgoglioso, è che in 32 anni di impegno in Comune sono rimasto fedele a me stesso. Anche con gli eccessi. Ma, avendo un nome comune come Gigi, era indispensabile che facessi qualcosa per distinguermi».

Se dovesse fissare un giorno bello del decennio vissuto?

«Direi quando ho ricevuto la lettera di una persona che mi confessava che, avendomi incontrato in un momento del suo percorso particolarmente difficile, ha abbandonato ipotesi di autodistruzione di sé e ha ritrovato la fiducia perduta».

E il giorno più brutto?

«Tutti quelli in cui ho constatato un utilizzo ipocrita e scorretto del simbolo calcistico cittadino».

Adesso, almeno per un po’, avrà più tempo libero di prima. Come lo impiegherà?

«Da un lato, avendo compreso come informatica e digitale siano parte essenziale della modernità, mi iscriverò a un corso di apprendimento. Dall’altro lato, invece, dedicherò molto più spazio a mia mamma e ad Elena, che tanto hanno dovuto aspettare e soffrire per le mie mancanze e la mia tensione».

C’è un aspetto della sua amministrazione che crede non essere stato colto in pieno?

«Percepisco come sottovalutate le azioni anticicliche e votate all’inclusività che ho cercato di mettere in rete. Cito Dress Care, idee per i consumatori, difesa del Made in Italy, moneta complementare, Paes, incentivi vari e potrei continuare molto a lungo. Sono emblemi di sinergie riuscite che imprenditori di successo come Luca Spada e Piero Sandroni hanno ben capito, ma all’esterno non sempre si è voluto comprendere lo sforzo fatto per dimostrare che oggi non basta la capacità individuale ma serve la filiera come elemento di competitività».

Chi cita quale figura fondamentale del suo mandato?

«Chi è stato importante nella politica, nell’amministrazione e nella mia vita lo sa da sé. Però fatemi dire un grazie ai miei collaboratori interni, dall’usciere al segretario generale: sono arrivato che vivevano sotto la scure di un pregiudizio, identificati come palla al piede dell’efficienza. Credo di aver dato loro rispetto e dignità, venendone ripagato».

Busto è ancora una città potenzialmente grande?

«Assolutamente sì. Me lo hanno dimostrato tutti quelli che hanno accettato di fare rete, che si sono spesi ogni giorno per il bene comune. Penso anche a capitani coraggiosi come Comerio, Bandera, Colombo e tanti altri ancora, quelli cioè che, invece di lamentarsi spesso ipocritamente, hanno fatto sì che in tempo di crisi la nostra città viaggiasse con il segno “più”. Sono stati straordinari».

Da pochi giorni il suo motto è “Non finisce qui...”. La sua è una promessa o una minaccia?

«È un auspicio e assieme un impegno che prendo nei confronti degli amori più grandi della mia vita: la politica e la città. Alberoni sosteneva che le fasi di innamoramento sono per loro natura fugaci. Io, invece, mi sono accorto che in questi dieci anni il sentimento che provavo si è alimentato ogni giorno di più».


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