Via le sostanze tossiche dal fondo del lago. E in cinque anni, se si attueranno anche altri interventi, la cura darà i primi seri risultati. «Non è vero che si debba ricorrere a progetti faraonici o molto costosi, basterebbe ripristinare o installare nuovi impianti sul Bardello, quelli che sono andati distrutti dall’incuria e dal tempo, e procedere al prelievo ipolimnico». Il termine del professor Marco Saroglia, attento conoscitore del bacino lacustre varesino, docente dell’Insubria in pensione, è criptico ai più. Significa, semplicemente, prelevare le acque di profondità ricche di sostanze tossiche. Una iniziativa condotta per alcuni anni, «con alcune pompe installate alla foce del Bardello - spiega l’esperto, docente di Biotecnologie dell’acquacoltura -. Il sistema aveva funzionato e può essere riattivato». L’obiettivo è di abbattere il livello trofico del lago e dunque di aumentare l’ossigenazione. «Quando fa molto caldo, si creano praticamente due laghi, lo strato più profondo perde l’ossigeno e cambia di densità, con un effetto che si può paragonare a quello dell’acqua e dell’olio». In estate può accadere, come alcuni anni fa, che proliferino le alghe, l’acqua prenda una colorazione rossiccia o marroncina e si sprigionino cattivi odori - spiega il docente -. La causa è presto detta; se non c’è ossigeno, il fosforo legato ai sedimenti si libera e crea la proliferazione di alghe». Come uscirne? Negli anni, si sono tentate molte soluzioni ma nessuna davvero efficace. Dal passato, però, ne esiste una, quella basata sul prelievo delle acque di profondità, soprattutto nel periodo estivo, quando le alghe diventano il campanello d’allarme del problema della mancanza di “respiro” del lago. «Insieme a questo sistema eseguito in passato, a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila, si potrebbe abbinare un sistema innovativo che si basa sul nuovo metodo di misurazione delle alghe tossiche, grazie a un apparecchio messo a punto dal Politecnico di Torino che consente di misurare i cianobatteri quando sono in una concentrazione molto bassa». Lo scorso anno si era avviata la collaborazione con il Politecnico per “portare” sulle sponde varesine lo strumento «ma poi non se ne fece più nulla». I cianobatteri “sono” alghe che possono liberare sostanze tossiche e dunque per questa ragione vanno monitorati con estrema attenzione.
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