Due mesi emozionanti, impegnativi, complicati. Un obiettivo: acquistare la Pro Patria per salvarla. A un certo punto sembrava impossibile, poi è spuntato il gruppo di Fulvio Collovati, così l’immobiliarista bustese Patrizia Testa ha trovato il guizzo giusto per centrare l’impresa finora fallita da tutti.
Signora Testa, s’è fatta davvero un bel regalo per il suo compleanno acquistando la squadra del cuore...
«Bellissimo, ma è stata assolutamente una coincidenza casuale. Venerdì scorso ero lontana da Busto e ho brindato con più gusto con un buon vino».
Che sensazioni prova in questo momento?
«Sono felice e fiduciosa. Tutti noi che ci siamo lanciati in questa avventura vogliamo partire bene, con lo spirito giusto. Personalmente nel calcio ho una competenza limitata, però abbiamo figure di spessore. E fra loro c’è Collovati, emblema di uno sport pulito e vincente. È stata la sua presenza a convincermi nel fare una cosa che da sola non avrei potuto compiere».
Lei farà la vicepresidente. È così?
«Come sapete non mi piace stare in prima pagina e mi ci avete messa già troppe volte, così ho rinunciato alla carica principale. A me basta aver fatto qualcosa per la mia città, nella speranza che adesso le persone si avvicinino alla Pro Patria. Io sono nella dirigenza con questo scopo. Anche perché quando chiedo attenzione non mi riferisco solo ai tifosi, ma anche alle persone che possono dare un sostegno economico. Noi abbiamo messo le fondamenta, però la casa va costruita e serve aiuto. Così come serve che non si pretenda tutto quanto subito».
Il suo nome viene indicato come quello decisivo a convincere patron Pietro Vavassori a cedere. Oggi, a giochi fatti, cosa si sente di dire del vecchio proprietario?
«Per come l’ho potuto conoscere è sempre stato presente, puntuale, chiaro. Non mi ha mai raccontato frottole. Anche quando mi preannunciò che il club sarebbe stato riammesso in Lega Pro, io ho stentato a credergli, invece aveva ragione».
Insomma, nulla da rimproverargli?
«Me l’avevano descritto come un uomo che si ama o si odia. Io sinceramente non ho fatto nessuna delle due cose e alla fine, anche se è stata complicata, è finita come speravo».
Adesso può dirlo: ma chi gliel’ha fatto fare di buttarsi in un’avventura del genere?
«Per me lo sport è un valore sacro. Inorridisco quando sento parlare di scommesse o doping. Amo il calcio, sono di Busto e mi è sembrato giusto scendere in campo».
È stata dura?
«Non riesco a contare quanti sono stati gli amici o i professionisti che mi hanno chiamata per dirmi di non fare pazzie, di tirarmi indietro. Ma sono una tifosa, tant’è che non sarei mai entrata in un altro club diverso dalla Pro Patria, tutto questo mentre vedevo tanta gente che si allontanava dalla squadra. Lo confesso: in più di un momento, quando la strada si è fatta in salita, ho pensato di lasciar perdere, che tutto fosse inutile, che non ce l’avremmo mai fatta. Ma la speranza è sempre rimasta forte così come l’amore per questi colori biancoblù. Così alla fine non ho ascoltato nessuno di coloro che mi sconsigliavano di proseguire in questo tentativo e siamo arrivati al traguardo. Ora spero che Busto, per prima, ci stia accanto e mi confermi che la scelta è stata quella giusta».
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'Pro Patria, amore irrinunciabile'
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