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Ascanio Celestini: 'Il mio Uva'

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Ascanio Celestini: "Il mio Uva"

«La prima sceneggiatura del mio film raccontava una storia più vicina a quella di Giuseppe Uva, di un uomo che per una sciocchezza viene fermato dalle forze dell’ordine, viene portato in caserma e poi in ospedale, e alla fine muore. Ma i produttori francesi e belgi non hanno ritenuto credibile che si potesse morire in questo modo... E così in “Viva la sposa” ho “sporcato” la figura di Sasà, ispirata a quella di Uva, e ho dato una motivazione più decisa a chi lo arresta: Sasà ha bruciato un’auto con dentro una bambina, e si sospetta che l’abbia fatto volontariamente».
Le cinque di pomeriggio: Ascanio Celestini, attore, regista, scrittore e drammaturgo tra i più interessanti della scena “indipendente” italiana, è a Varese, nella sede di Filmstudio 90, per presentare il suo nuovo film, “Viva la sposa” appunto, appena uscito nei cinema italiani. E un’ora prima della proiezione che vedrà la sua presenza tra il pubblico (repliche anche sabato, domenica e lunedì), racconta com’è nato questo ritratto di un quartiere romano, il Quadraro, e della sua gente, più o meno marginale, che vive in periferia «senza uscirne, anche se non è un ghetto». Racconta di come il caso Uva abbia un ruolo importante dentro il film, a poche decine di metri di distanza da via Dandolo, dove la notte tragica di Giuseppe iniziò sette anni e mezzo fa.
«Ho conosciuto la sorella Lucia dopo aver letto della vicenda sui giornali - spiega Celestini -. Ma non mi sono interessato tanto alle indagini e al processo quanto a com’era Giuseppe da vivo. C’è una marginalità che sembra impossibile raccontare senza che ci siano violenza e scandalo, ed è invece quello che ho fatto io. E poi c’è un altro tema ed è quello del destino delle persone legato a certi luoghi e a certi contesti: in periferia chi prende a calci un barattolo rischia di più, poliziotti e carabinieri ci pensano due volte prima di sparare a chi va in motorino senza casco nel centro di Roma, mentre questo avviene alla periferia di Napoli, come nel caso della morte di Davide Bifolco. Come se certi comportamenti fossero richiesti o addirittura consentiti in certe situazioni».
Una verità processuale sulla morte di Uva non c’è ancora, anche se è noto che la famiglia ritiene che il quarantatreenne sia deceduto in conseguenza di un pestaggio subìto in caserma, ma queste riflessioni hanno fatto sì che nel film, dopo l’arresto di Sasà, si sentano due telefonate reali agli atti del processo, che nella finzione sono fatte da Nicola, l’amico di Sasà interpretato dallo stesso Celestini, alter ego di Alberto Biggiogero («Stanno massacrando un ragazzo...»).
Infine il regista riflette in generale sulla responsabilità delle forze dell’ordine nei casi di violenze su persone arrestate o private della libertà. «Si parla tanto di mele marce, ma forse dovrebbero essere le stesse forze dell’ordine a indicare quali siano queste mele marce dall’interno».


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