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Volo dal balcone, via al processo

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Volo dal balcone, via al processo

Si è presentato in aula con le stampelle Marco Lenzi, deciso a dimostrare la tesi che ha sempre sostenuto: lui la fidanzata non voleva buttarla giù dal balcone, anzi, la voleva salvare.
Ma secondo l’accusa l’uomo il 10 aprile  del 2014 scaraventò Raffaella Scialpi dal sesto piano del palazzo di via Sciesa sordo alle sue suppliche e pronunciando una frase agghiacciante: «Non preoccuparti, le merde come te cadono sempre in piedi». L’udienza di ieri è servita in sostanza per calendarizzare le prossime e stilare la lista testi, una trentina in tutto.  Secondo gli investigatori del commissariato e il pubblico ministero Rosaria Stagnaro non ci sono dubbi:  si tratta di tentato omicidio, di un gesto volontario giunto al culmine dell’ennesima litigata tra il quarantaquattrenne e la trentunenne, scaturita dalla gelosia di cui entrambi soffrivano.
Intorno alle 18 di quel pomeriggio Lenzi l’avrebbe spinta oltre il parapetto del poggiolo, lasciandola per alcuni istanti appesa nel vuoto.   Diciotto metri di altezza separavano il balcone dal cortile interno del condominio. Quando Raffaella atterrò al suolo nessuno avrebbe scommesso sulla sua salvezza. Ma il 16 maggio riuscì addirittura a parlare con il pm Stagnaro, nella stanza del Sant’Antonio Abate in cui era ricoverata, raccontando così la sua verità. «Mi si è avvicinato mentre ero appoggiata alla ringhiera e ha incominciato ad alzarmi le mani. Mi ha dato una sberla di rovescio così forte che io mi sono sbilanciata e sono volata oltre il parapetto». L’11 giugno Marco Lenzi venne portato in carcere in esecuzione di un’ordinanza firmata dal gip Alessandro Chionna. Ma si è sempre difeso: «Raffaella era fuori a fumare, io in sala ad aggiustare la bicicletta. All’improvviso ha perso l’equilibrio, forse per una distrazione o forse a causa di un malore. Ho cercato di salvarla ma è caduta».
 Di fatto fu lui a fiondarsi in cortile e a chiamare i soccorsi. Venne interrogato tutta notte e le sue dichiarazioni non convinsero gli uomini al comando del vicequestore Gianluca Dalfino che infatti, d’intesa con la procura, attivarono intercettazioni telefoniche e ambientali anche nella camera in cui era ricoverata la fidanzata. Tra le tante conversazioni registrate ce ne sarebbe una abbastanza significativa tra l’imputato e un amico.
 «Ma come ha fatto a cadere dal balcone Marco?». Risposta: «Questi non sono c...i ... te lo spiego a voce, non chiamare». Toccherà al collegio presieduto da Renata Peragallo vagliare le versioni e decidere a quale credere. Determinante sarà l’esame della vittima, che potrebbe essere citata già entro fine anno.


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